Riassunti meccanica dei sistemi biologici

Riassunti meccanica dei sistemi biologici

Tessuti biologici

Non rientrano nella classe dei materiali ingegneristici tradizionali. I materiali biologici più interessanti sono i tessuti connettivi che sono costituiti da una sostanza fondamentale nella quale sono immerse le cellule.

I fluidi biologici sono riconducibili alla classe dei materiali compositi e sono in genere bagnati da fluidi biologici che consentono la vita delle cellule.

Materiali compositi

Materiali compositi = sono quei materiali che contengono due o più materiali (o fasi) costituenti distinte. Essi sono costituiti da una matrice e da un rinforzo.

Osso

L'osso è una struttura dinamica, con diverse cellule:

  • osteoblasti = cellule specializzate nella formazione di osso

  • osteociti = sono osteoblasti che non sintetizzano più l'osso

  • osteoclasti = cellule specializzate nel riassorbimento osseo

Modellamento

Osteoblasti e osteoclasti agiscono separatamente in diverse zone, per la crescita o guarigione

Rimodellamento osseo

Rimodellamento osseo = complesso processo di rigenerazione cellulare della matrice mineralizzata. Esso aiuta a:

  • riparare danni strutturali e sostituire l’osso morto o danneggiato

  • adattare la microarchitettura allo stress locale

  • regolare l’omeostasi del calcio e l’emopoiesi

Le fasi di questo processo sono:

  • attivazione = gli osteociti percepiscono la deformazione ossea e inviano segnali

  • riassorbimento = gli osteoclasti entrano in contatto con la superficie ossea e iniziano ed eroderla

  • formazione = gli osteoblasti iniziano a secerne il collagene e le altre proteine per formare nuovo osso. Alcuni osteoblasti rimangono intrappolati nella matrice che producono diventando osteociti

Adattamento osseo

Capacità di adattamento

Le cellule all'interno dei tessuti posso percepire alcuni aspetti dello stimolo meccanico, giudicare se questo stimolo è appropriato e quindi alterare la matrice del tessuto per rispondere allo stimolo meccanico

Stress shielding = riduzione della densità ossea come risultato della rimozione dello stress.

Scheletro

Scheletro, serve a:

  • protezione degli organi

  • permette il movimento

  • da la forma al corpo

  • funzione emopoietica (produzione dei globuli rossi)

Divisione dello scheletro

  • scheletro assile = ossa della testa, della colonna vertebrale e della regione toracica

  • scheletro appendicolare = comprende le ossa degli arti inferiori e superiori

Classificazione delle ossa in base alla forma

  • ossa lunghe = presentano una lunghezza preponderante rispetto alle altre

  • ossa corte = le tre dimensioni sono pressoché uguali

  • ossa piatte = lunghezza e larghezza prevalgono sullo spessore

  • ossa sesamoidi = si formano all'interno di alcuni tendini che si avvolgono intorno alle ossa

Ossa lunghe

Longitudinalmente composte da:

  • epifisi = è la parte terminale dell'osso

  • metafisi = osso in parte spugnoso che connette l'epifisi alla diafisi

  • diafisi = è la parte centrale dell'osso

Trasversalmente composte da:

  • periostio = tessuto connettivo che riveste esternamente le ossa

  • osso corticale e trabecolare

  • endostio = tessuto connettivo che riveste internamente le ossa

  • midollo osseo

Diafisi

È costituita da osso compatto (corticale), al cui interno c'è la cavità midollare. La superficie interna è detta endostio.

La superficie esterna della diafisi è coperta da una membrana fibrosa altamente vascolarizzata, detta periostio, nella quale si trovano le cellule dotate di potenziale osteogenico (capacità di formare l'osso)

Midollo osseo

Midollo osseo = è un tessuto molle che occupa i canali delle ossa lunghe e la fascia centrale delle ossa piatte. È formato da:

  • midollo osseo rosso = produce globuli rossi, bianchi e piastrine

  • midollo osseo giallo = produce cellule adipose

Vasi sanguigni dell'osso

L'arteria nutriente entra nell'osso lungo e si divide in arterie ascendenti e discendenti. Le arcate capillari si formano negli spazi midollari tra le trabecole

Nervi dell'osso

I canali Haversiani, il periostio e i vasi midollari sono innervati. I processi di fibre nervose corrono lungo i vasi adiacenti alle trabecole

Classificazione del tessuto osseo

  • lamellare = il collagene è organizzato in strati detti lamelle. Esse possono essere: concentriche, circonferenziali, interstiziali. L'osso lamellare costituisce l'osso corticale e l'osso trabecolare.

  • non lamellare = il collagene non presenta una organizzazione ben definita ed è caratterizzato da fibre corte orientate casualmente

Tessuto osseo lamellare

  • l'osso corticale (compatto) si trova principalmente nelle diafisi delle ossa lunghe

  • l'osso trabecolare si trova principalmente nelle epifisi e metafisi

Osso corticale

  • è composto dagli osteoni

  • lamelle concentriche con alternata orientazione delle fibre

  • al centro c'è il canale Haversiano che contiene nervi e vasi sanguigni

  • tra le lamelle ci sono le lacune con gli osteociti

  • i canali di Volkmann connettono il canale Haversiano al periostio fornendo energia e nutrienti

Osso trabecolare

  • costituito da lamelle concentriche senza la presenza del canale Haversiano

  • le lamelle sono orientate a formare una sorta di travatura reticolare

  • lo spazio tre le trabecole è occupato dal midollo osseo e dai vasi sanguigni

Costituenti dell’osso

Matrice cellulare

  • frazione organica: collagene, proteine non collageniche

  • frazione inorganica: idrossiapatite

Collagene di tipo I

  • è il principale componente organico della matrice extracellulare

  • è una proteina

  • c’è ne sono diversi tipi

  • fornisce elasticità e flessibilità all’osso

Idrossiapatite

  • è il principale componente inorganico della matrice extracellulare

  • si lega al collagene

  • fornisce rigidezza e resistenza al carico all’osso

Biomeccanica

Biomeccanica = applicazione della meccanica classica a problemi biologici

Fattori che influenzano le proprietà meccanica dell’osso

  • età

  • sesso

  • localizzazione del tessuto

  • composizione del tessuto

  • direzione di applicazione del carico

  • velocità di deformazione

  • condizione di umidità

Osso corticale e trabecolare in trazione e compressione

Resistenza a compressione dell’osso > della resistenza a trazione > della resistenza a taglio

Anisotropia dell’osso

La risposta dell’osso al carico applicato dipende dalla direzione del carico

Viscoelasticità dell’osso

L’osso esprime il comportamento tipico di un materiale viscoelastico in quanto le sue proprietà dipendono anche dalla velocità di deformazione.

L’aumento della velocità di deformazione determina il passaggio da duttile a fragile.

Un osso sollecitato ad elevate velocità di deformazione è caratterizzato da un’ampia zona di elasticità lineare con una ridotta tendenza allo snervamento e carico di rottura alto. Quando invece è sottoposto alla sollecitazione in tempi molto lunghi, l’osso riesce a raggiungere allungamenti più che doppi dopo aver subito una importante deformazione plastica e aver ridotto lo sforzo di rottura di un terzo.

Proprietà materiali dipendenti dalle condizioni di umidità

La presenza di acqua facilita gli adattamenti della struttura di collagene e permette pertanto di realizzare una ottimale distribuzione degli sforzi.

L’osso in condizioni disseccate presenta un modulo elastico più elevato e non mostra scostamento da un comportamento elastico lineare

L’osso in condizioni fisiologiche invece presenta un modulo elastico più basso in quanto la  maggior adattabilità delle strutture interne lo rende più cedevole nei confronti degli sforzi applicati.

L’osso idrato in condizioni fisiologiche è più in grado di sostenere urti o eccessi di sollecitazione senza giungere alla rottura in quanto l’energia assorbibile da un osso idrato è pari almeno a cinque volte quella assorbibile da un osso secco.

Proprietà materiali dipendenti dalla densità ossea

Elevata variabilità delle proprietà meccaniche in base alla densità ossea:

Dipendenza di E dalla densità apparente secondo le legge:

Le proprietà dipendono anche dal sito anatomico e dal set-up sperimentale

Linee isostatiche

Linee isostatiche = curve mutuamente ortogonali inviluppate dalla messa in risulta delle tre direzioni principali per ogni punto del corpo. Cioè quelle curve la cui tangente in ogni punto è diretta come una delle direzioni principali in quel posto.

I punti che si trovano su una linea isostatica sono dunque soggetti a una componente assiale dello sforzo (di trazione o di compressione).

Linee isostatiche naturali

Secondo von Meyer:

  • le trabecole, come sono visibili in una sezione longitudinale del femore, sono disposte lungo linee curve dalla testa alla diafisi vuota dell’osso

  • questi fasci lineari sono intersecati da altri con una precisa regolarità di disposizione che ogni incrocio è quasi ortogonale ➔ ovvero una serie di fibre o trabecole incrocia l’altra ad angolo retto in tutti i punti

È stato poi osservato che la disposizione delle trabecole ossee non è affatto casuale, ma in modo ammirevole connessa con gli sforzi a cui esse debbono resistere.

Nei casi in cui la sollecitazione prevalente è più facilmente individuabile, si è potuto riconoscere che l’andamento delle trabecole ossee segue sensibilmente quello delle linee isostatiche

Adattamento funzionale

Fin qui, trattando degli sforzi e delle deformazioni dovuti alla trazione e alla compressione, si è omesso di considerare la componente tangenziale dello sforzo, che produce una variazione angolare tra due fibre ovvero tende a spostare i punti sostanziali facendoli “scorrere” gli uni sugli altri.

La componente tangenziale dello sforzo è nulla sulle giaciture ortogonali alle linee isostatiche, cioè di massima trazione o di minima compressione, ma essa attinge valori stazionari (massimo e minimo) su piani inclinati di 45° rispetto alle direzioni principali.

Anche se non è possibile eliminare del tutto la componente tangenziale dello sforzo, il pericolo di una rottura dovuta a questa componente dello sforzo si riduce se il materiale della costruzione è disposto lungo le linee isostatiche del sistema, perché lungo queste linee detta componente è nulla.

Per applicare questi principi alla crescita e allo sviluppo dell’osso, si deve immaginare una trabecola collocata casualmente in qualsiasi direzione nell’interno dell’osso.

Se la trabecola giace nella direzione di una linea isostatica, sarà soggetta, ad esempio, a trazione lungo il suo asse longitudinale e a compressione nella direzione trasversale, e quindi si troverà in una posizione di minimo disturbo.

Se la trabecola è inclinata rispetto alle linee isostatiche, su di essa agirà una componente tangenziale dello sforzo, che tenderà a farle mutare assetto.

I fenomeni della crescita possono essere quindi spiegati dalla tendenza che ha la crescita:

  • ad essere accelerata dalla deformazione

  • ad essere orientata della componente tangenziale dello sforzo che produce gli effetti di far scorrere le parti disposte obliquamente rispetto alle linee isostatiche, lasciando indisturbate le parti disposte parallelamente rispetto ad esse

L’anatomista Roux formulò questi principi:

  • adattamento funzionale = capacità dell'osso di adattarsi alle funzioni che deve svolgere

  • profilo di massimo-minimo = si deve avere la massima resistenza usando il minimo quantitativo di materiale

Legge di Wolff =  il tessuto osseo maturo si riorganizza e la distribuzione e l'orientamento delle trabecole ossee dipendono dalla tipologia del carico esterno.

Travi e ossa lunghe

Trave soggetta a forza assiale

La mensola di sezione circolare avente area A, è incastrata all’estremità sinistra ed è soggetta ad una forza assiale di trazione di intensità F all’altra estremità.

La trave è in quiete ed in equilibrio. Per analizzare le forze indotte all’interno della trave, si può applicare il metodo delle sezioni, sconnettendo idealmente la trave in 2 elementi mediante il piano ABCD ortogonale all’asse della trave.

Dal momento che la trave è nel suo insieme in equilibrio, i 2 elementi devono essere a loro volta equilibrati.

Questo richiede la presenza di una forza interna collineare con la forza esterna applicata in corrispondenza della sezione di sconnessione di ciascun elemento.

Per soddisfare la condizione di equilibrio, le forze interne devono avere la medesima intensità della forza esterna.

La forza interna in corrispondenza della sezione di sconnessione rappresenta la risultante di un sistema di forze distribuite sulla sezione trasversale della trave.

L’intensità della forza agente sulla sezione trasversale per unità di area è detta sforzo assiale.

Assumendo che l’intensità dello sforzo sia uniforme sulla sezione trasversale, lo sforzo assiale medio è dato da:

Trave a sezione circolare piena, soggetta a momento torcente

La torsione  è l’angolo di rotazione relativo tra 2 sezioni della trave poste a distanza unitaria

Metodo delle sezioni

Distribuzione dello sforzo tangenziale

Momenti di inerzia polari

Variazione lineare dello sforzo tangenziale lungo il raggio

Sforzi trasversali e longitudinale

Sforzi principali dovuti al momento torcente

Trave soggetta a forza trasversale

La mensola è soggetta ad una forza trasversale di intensità F applicata all’estremità libera.

Per analizzare le forze ed i momenti interni, si può applicare il Metodo delle Sezioni sconnettendo idealmente la trave mediante un piano ABCD ortogonale all’asse della trave.

Poiché la trave è globalmente in equilibrio, i 2 elementi così ottenuti devono essere anch’essi individualmente in equilibrio.

Metodo delle sezioni

Il diagramma di corpo libero dell’elemento di destra della trave è illustrato insieme alla forza e al momento interni sull’elemento sinistro.

Per l’equilibrio dell’elemento destro, sulla sezione di sconnessione devono agire un momento interno ed una forza risultante F verso l’alto sezione.

Questa è la forza tagliante ed è la risultante di una forza distribuita sulla superficie di sconnessione.

Sforzo tangenziale medio

L’intensità della forza tagliante per unità di area è lo sforzo tangenziale, il cui valore medio è dato da:

Momento flettente Sforzo assiale lineare

Forza trasversale Sforzo tangenziale parabolico

Sezioni soggette a flessione non uniforme (Q = Max di Jourawsky)

V = forza trasversale

Sollecitazioni su ossa lunghe

La mezzeria della diafisi di un osso lungo è esposta a sollecitazioni costituite da momenti (flettente e torcente) significativi e da una forza assiale di compressione. Le intensità di questi carichi e il piano del momento flettente variano con il tempo e sono fortemente dipendenti dalle attività fisiche che sono svolte.

Si può tuttavia fare una osservazione generale: gli sforzi (e le deformazioni) causate dalla forza assiale sono piccole se confrontate con quelle provocate dalla flessione e dalla torsione.

In prima approssimazione si può pertanto considerare una storia di carico costituita soltanto da momenti (flettenti e torcenti) applicati su un insieme di assi di flessione.

Sezione trasversale della diafisi

La sezione trasversale di un osso lungo può essere idealizzata come la sezione anulare di un cilindro cavo, con un raggio esterno re e uno spessore t.

Forza assiale:

Momento flettente:

Sforzi assiale e tangenziale

A causa della direzione della forza applicata, lo sforzo assiale dovuto al momento flettente è massimo sui lati mediale e laterale del femore.

Lo sforzo assiale è di trazione sul lato mediale e di compressione sulla parte laterale.

Lo sforzo tangenziale è massimo lungo la superficie interna della struttura ossea del femore sui lati anteriore (ventrale) e posteriore (dorsale).

La condizione di vincolo dell’osso è tale che esso si comporta come una mensola caricata all’estremità libera.

Momento torcente

  • sforzo tangenziale:

  • variazione angolare:

  • raggio:

  • momento d’inerzia polare:

Sforzi tangenziali sulla tibia dovuti al momento torcente

La sezione prossimale (A) ha un momento d’inerzia maggiore della sezione distale (B) poiché

più materiale osseo è distribuito lontano dal centro d’area.

Macchina di prova per la torsione

Il pendolo A genera una coppia  di torsione intorno al suo asse, che è connesso alla pinza rotante D  della macchina. L’intensità della coppia applicata al campione può essere controllata variando la posizione della massa del  pendolo rispetto al suo centro di  rotazione.

Più vicina è la massa del pendolo al suo centro di rotazione, più corto è il braccio della forza e pertanto più piccola è la coppia  generata.

Al contrario, più distante è la  massa dal centro, più lungo è il braccio e più grande è l’azione torcente.

La coppia generata dal peso del pendolo è trasmessa mediante un albero connesso con la pinza rotante, applicando così la medesima coppia al campione saldamente afferrato dalle due ganasce.

I trasduttori di coppia e di rotazione misurano l’intensità M della coppia applicata al campione e la rotazione θ della pinza mobile rispetto a quella fissa.

La frattura avviene quando la coppia applicata è sufficientemente elevata affinché gli sforzi generati nel campione superino la resistenza ultima del materiale.

I dati raccolti dai trasduttori della macchina di prova per la torsione possono essere rappresentati graficamente in un diagramma che riporta:

  • l’intensità della coppia torcente (M) sull’asse delle ordinate

  • l’angolo di torsione (θ) sull’asse delle ascisse.

Quadro fessurativo spiraliforme

Per travi soggette a torsione, la rottura avviene lungo uno dei piani principali.

Questo può essere dimostrato torcendo un pezzo di gesso fintanto che esso si rompa in 2 pezzi.

Un attento esame del gesso rivela l’occorrenza della frattura lungo una linea a spirale ortogonale alla direzione del massimo sforzo di trazione (principale).

Per le travi a sezione circolare le linee a spirale formano un angolo di 45° con l’asse neutro della torsione (asse del cilindro).

Il medesimo quadro fessurativo può essere osservato nelle ossa lunghe soggette a torsione.

Combinazioni di carichi

Le analisi dello sforzo discusse fino ad ora hanno riguardato sforzi assiali (di trazione o compressione. dovuti a forza assiale o momento flettente) e sforzi tangenziali dovuti a momento torcente o forza trasversale, nell’assunzione che queste condizioni di carico agissero una alla volta.

Gli sforzi dovuti a queste condizioni di carico elementari possono essere calcolate con le formule seguenti:

  • forza assiale:

  • forza trasversale:

  • momento torcente:

  • r = distanza dal centro della sezione

  • JP = momento polare di inerzia rispetto al centro d’area della sezione

  • momento flettente:

  • y = distanza dall’asse neutro della sezione

  • IX = momento d’inerzia rispetto all’asse neutro della sezione

Una trave può essere assoggettata a 2 o più di queste condizioni di carico agenti simultaneamente.

Per analizzare gli effetti complessivi di queste condizioni di carico, si devono determinare singolarmente gli sforzi generati in una certa sezione della trave da ciascuna condizione di carico agente separatamente dalle altre.

Poi, gli sforzi assiali sono combinati (sommati o sottratti) tra di loro, e così pure gli sforzi tangenziali.

Analisi sperimentale e computazionale

Per le ossa lunghe soggette a diverse azioni (assiali, flessionali e torcenti) non sono disponibili soddisfacenti soluzioni analitiche della distribuzione dello sforzo alle estremità delle ossa.

Inoltre con la curvatura della diafisi e con le irregolarità della geometria della sezione, le soluzioni analitiche idealizzate per gli sforzi e le deformazioni nella parte mediana della diafisi diventano meno accurate.

Metodo degli elementi finiti

Metodo degli elementi finiti = consiste nel sostituire un sistema complicato di equazioni differenziali con un sistema di numerose equazioni algebriche che può essere risolto con software.

Elementi = numero finito di sottoregioni di una struttura

Nodi = punto di connessione tra gli elementi

Discretizzazione = processo di divisione di una struttura in elementi e nodi per generare un reticolo. Essa indica inoltre che la soluzione ottenuta da un’analisi degli elementi finiti non si applica in ogni singolo punto della struttura ma solo in zone discrete.

Cap. 16 - Il problema dell’equilibrio elastico

Le equazioni che governano il problema dell’equilibrio elastico sono:

  1. equazioni di congruenza:

  1. equazioni indefinite di equilibrio:

 con relative condizioni al contorno:

  1. equazioni costitutive:

Teorema di Kirchhoff: la soluzione del problema dell’equilibrio elastico esiste ed è unica.

Le equazioni risolventi del metodo delle tensioni sono le equazioni di Beltrami-Michell.

Alla base del metodo degli spostamenti ci sono le equazioni di Navier:

Teorema dei lavori virtuali: il lavoro virtuale interno svolto da un campo di tensioni staticamente ammissibile per effetto di un campo di deformazioni cinematicamente ammissibile, è uguale al lavoro virtuale esterno svolto dai carichi esterni per effetto del campo di spostamenti cinematicamente ammissibile .

L’aggettivo “virtuale” si riferisce alla circostanza che non vi è alcun nesso di casualità tra i campi di forze e il campo di spostamenti e deformazioni.

Se il teorema è valido per qualunque stato cinematicamente (staticamente) ammissibile, allora segue necessariamente l’equilibrio (la congruenza).

Denti

Denti = sono strutture mineralizzate e hanno una parte organica.

Dentina = componente organica del dente, resiste e trasmette gli sforzi meccanici

Il dente può essere classificato come un composito (accoppiamento di più tessuti) che svolgono diverse funzioni meccaniche

Collagene ed elastina

Collagene = è la proteina strutturale del corpo umano. Ci sono diversi tipi di collagene.

α-elica di collagene = è una singola elica di collagene, è formata da alcune proteine

Proprietà meccaniche del collagene

Le fibre di collagene sono molto stabili chimicamente ed hanno altri valori delle proprietà meccaniche. In assenza di carico le fibre sono disposte in modo non perfettamente ordinato nello spazio, sotto carico modificano la loro geometria fino a giungere a una disposizione di fibre allineate. Quando le catene sono distese le proprietà meccaniche aumentano diventando dipendenti dai legami intra e inter molecolari

Elastina

Elastina = proteina elastica, che con prestazioni meccaniche molto inferiori rispetto al collagene. È un materiale amorfo e non ha caratteristiche isotrope

Fibre di elastina = proteine elastiche che hanno una distribuzione di catene polimeriche casuale e sono in grado di garantire prestazioni meccaniche di alto livello. Le fibre elastiche sono costituite da due componenti: microfibrille e materiale elastico amorfo.

Comportamento meccanico dell’elastina

L’elastina è un materiale viscoelastico non lineare ma la sua viscoelasticità e la sua non linearità si possono trascurare. Si può considerare un materiale elastico lineare.

Per caricare un materiale viscoelastico si segue una traiettoria, per scaricarlo si segue una traiettoria diversa. La curva di scarica è sempre più bassa di quella di carica. Il lavoro di carico è sempre maggiore del lavoro di scarico.

Elasticità entropica = proprietà dell’elastina, per cui apparentemente è molto disordinata ma in realtà è ordinatissima

Actina e proteoglicani

Actina e tubulina = proteine che costituiscono il citoscheletro

Proteoglicani = polimero fatto da proteine, zuccheri e glicosaminoglicani. La loro funzione principale è quella di trattenere l’acqua

Tendini e legamenti

Tendini = estremità con le quali i muscoli si connettono ai segmenti ossei, è costituito da collagene

Legamenti = strutture che determinano l’unione di due o più segmenti ossei, è costituto da collagene

Composizione di tendini e legamenti

Essi sono composti da due parti:

  • parte cellulare = formata a sua volta da due categorie di cellule:

  • fibroblasti = sintetizzano la parte non cellulare

  • linfociti, macrofagi e mastociti = mantengono l’omeostasi

  • parte non cellulare = costituita da collagene di tipo I e acqua

Le fibre di collagene sono disposte in parallelo

Differenza tra tendini e legamenti

Grazie alla maggiore concentrazione di collagene, al fatto che le fibrille sono più spesse e più ordinate i tendini hanno un miglior comportamento meccanico rispetto ai legamenti.

La decorina, è una proteina, che unisce le varie fibre di collagene, oltre a:

  • regolare la dimensione finale delle fibre

  • permette di trasmettere la forza da una fibrilla all’altra

Il tendine ha buon comportamento meccanico macroscopico grazie al:

  • fatto che è un materiale composito con matrice viscoelastica con basso modulo elastico

  • legame fisico tra fibrille adiacenti assicurato dalla decorina

Proprietà meccaniche alla microscala

Nei tendini il collagene ha un’organizzazione gerarchica multiscala in cui il modulo elastico tende ad aumentare andando dalla scala macroscopica a quella microscopica risultando che il modulo elastico della molecola di collagene () è maggiore del modulo elastico della fibra di collagene ()

Il modulo elastico delle molecole di collagene è circa il doppio di quello delle fibrille

Proprietà meccaniche alla macroscala

Curva sforzo-deformazione a trazione di un tendine o legamento

I tendini e i legamenti hanno un comportamento elastico decisamente non lineare, che può essere suddiviso in varie zone:

  1. tratto iniziale = progressivo riallineamento delle fibrille in direzione di applicazione del carico, che passano da una struttura ondulata ad una a fibrille parallele. All’aumentare della deformazione corrisponde un piccolo aumento del carico

  2. tratto OA = progressivo reclutamento delle fibre di collagene, che dà un andamento esponenziale. Nel punto A tutte le fibre sono completamente tese e sono disposte spazialmente lungo la direzione di applicazione del carico

  3. tratto AB = comportamento quasi lineare in cui si tirano i legami covalenti

  4. tratto BC = progressivo danneggiamento delle fibre di collagene, sottoposte a carichi troppo elevati. Nel punto C si ha la rottura del tendine

Il tendine ha un comportamento anisotropo, con caratteristiche meccaniche migliori in direzione longitudinale rispetto a quella trasversale.

Modifica delle proprietà meccaniche

Dipendenza dall’invecchiamento

I tendini nel tempo aumentano la rigidezza e lo sforzo a rottura.

Si distinguono però tre grandezze legate al comportamento meccanico, la cui evoluzione temporale è diversa:

  • rigidezza = aumenta sempre senza mai diminuire

  • carico ed energia a rottura = raggiungono un massimo durante la maturità e in seguito decrescono

Proprietà viscoelastiche

I tendini hanno elevate proprietà viscoelastiche dovute al grande contenuto di acqua e proteoglicani tra le microfibrille.

Quando il tendine viene stirato rapidamente diventa più rigido.

Un altro modo per testare le proprietà viscoelastiche sono le prove di rilassamento e creep

Prove di rilassamento

Le prove di rilassamento condotte sui tendini possono essere:

  • statiche = il carico viene applicato in modo costante e si misura il tempo che il materiale impiega ad arrivare al valore di sforzo di regime. Nel materiale sottoposto a deformazione si verifica una strizione variabile nel tempo.

  • cicliche = invece si assiste ad una progressiva diminuzione del valore degli sforzi man mano che il numero di cicli condotti aumenta, fino ad assumere un comportamento costante nel tempo. Queste prove costituiscono anche un precondizionamento dei tendini.

Il fenomeno di rilassamento di un tendine dipende anche dal contenuto di acqua. Legamenti con un maggior contenuto di acqua si rilassano di più rispetto a legamenti con contenuto di acqua inferiore. La presenza di acqua fa quindi diminuire il valore di sforzo a regime.

 

Prove di creep

Un’ulteriore conferma della viscoelasticità del tendine è il suo comportamento a creep.

Se sottoposto a sforzo costante il legamento mostra una deformazione con andamento esponenziale

                                                                

Carico fisiologico di tendini e legamenti

In condizioni fisiologiche tendini e legamenti sono soggetti a 1/3 e/o ¼ del valore della resistenza ultima a trazione:  

Il limite superiore per la deformazione fisiologica in tendini e legamenti va dal 2 al 5%

Meccanismi di danno e collasso

Sono simili per legamenti e tendini, pertanto i meccanismi di danno e collasso sono simili.

Quando un legamento è sottoposto in vivo ad un carico che supera il limite fisiologico, ha luogo un microcollasso anche prima che sia raggiunto il punto di plasticizzazione.

Quando si supera il punto di plasticizzazione il legamento comincia a subire un collasso globale

Pelle

  • membrana continua che riveste il corpo

  • svolge funzioni protettive, di scambio termico e di percezione tattile

  • costituita da fibre continue che sono arrangiate in modo casuale a costituire strati e lamelle

  • ha un comportamento meccanico anisotropo

  • a livello mesoscopico, la pelle è modellata come un composito multistrato, composta da tre strati:

  • epidermide = strato più esterno, avascolare, con rigidezza media variabile

  • derma = tessuto connettivo vascolarizzato e innervato

  • ipoderma = vascolarizzato e innervato

Stato tensionale della pelle

Lo stato tensionale della pelle in condizioni fisiologiche è complesso ed eterogeneo.

Ci sono variegate linee principali di tensione (linee di Langer) dovute alla direzionalità delle fibre di rinforzo presenti nel derma.

Formulazioni iperelastiche microstrutturali sono indispensabili per riprodurre il corretto comportamento della pelle

Cartilagine

La cartilagine è un tessuto molto simile alle ossa, ma con un contenuto molto minore di fosfato di calcio. Essa è un tessuto molto delicato in quanto ha una scarsa capacità di rigenerarsi, dovuto al fatto che sono un tessuto privo di vascolarizzazione.

Ci sono tre tipologie di cartilagine:

  • ialina o articolare = è formata prevalentemente da collagene di tipo II

  • fibrocartilagine bianca = è formata prevalentemente da collagene di tipo I e sostiene carichi particolarmente elevati. In essa si vede bene l’orientazione delle fibre

  • elastico gialla = contiene molta elastina

La cartilagine ha molte cavità e contiene all’interno il liquido sinoviale, che migliora le proprietà viscoelastiche del tessuto.

Funzioni della cartilagine articolare

  • distribuzione del carico nell’articolazione

  • ammortizzamento del carico

  • lubrificazione dell’articolazione → serve a ridurre l’attrito e l’usura

Distribuzione del carico nell’articolazione

La distribuzione del carico all'interno dell’articolazione, ovvero l’aumento della superficie su cui si scarica la sollecitazione, favorisce la diminuzione dello sforzo e quindi il benessere dell’articolazione.

All’aumentare della superficie di appoggio aumenta però anche l’attrito tra le superfici e di conseguenza l’usura dell’articolazione, dunque le cartilagini devono essere deformabili ma non troppo.

Per evitare questo problema si mantengono separate le due superfici attraverso la presenza del liquido sinoviale, che trasforma la forza applicata in pressione idrostatica che si distribuisce uniformemente sulla superficie inferiore. La pressione idrostatica è lo sforzo più basso realizzabile ed è il vero meccanismo di distribuzione dei carichi che viene applicato dalle articolazioni

Ammortizzazione del carico

Ammortizzare il carico significa trasferire la forza dei muscoli in maniera più graduale possibile allo scheletro.

Quando viene applicata una sollecitazione al tessuto, la matrice viene compressa, mentre la rete di collagene al suo interno si tende (viene sottoposta a trazione). Se il carico viene mantenuto l’acqua fuoriesce progressivamente dalla rete di collagene, deformandola e perdendo resistenza

Il collagene da solo non sarebbe in grado di resistere a compressione perché si deformerebbe

subito, ma grazie alla sua capacità di trattenere la matrice acquosa e rilasciarla molto lentamente riesce a resistere anche quando viene compresso ➔ questa caratteristica delle cartilagini è detta poroelasticità

Lubrificazione

La lubrificazione o riduzione dell’attrito all’interno delle articolazioni è fondamentale per evitarne l’usura ed è possibile ancora una volta grazie alla presenza di liquido sinoviale.

La lubrificazione delle articolazioni è favorita da 3 fattori:

  • quando viene applicata una sollecitazione, le pareti delle superfici articolari sono poco porose e costringono il liquido a muoversi verso l’esterno, permanendo un tempo maggiore tra le superfici ➔bassi valori di porosità (quindi di permeabilità) delle superfici favoriscono quindi la lubrificazione

  • gli ialuronani presenti nel liquido si incastrano nei pori delle superfici, lasciando un sottile film viscoso che favorisce lo scorrimento e la lubrificazione. Essi infatti si legano molto facilmente all’acqua, creando una superficie scivolosa

  • l’essudazione del liquido verso l’esterno dell’articolazione favorisce la lubrificazione delle zone prossime al punto di sollecitazione

Permeabilità della cartilagine

La cartilagine è un materiale poroelastico, formato da una matrice solida di collagene, rinforzata da fibre ed acqua con sali. All’interno c’è un liquido in grado di muoversi.

Il comportamento viscoelastico delle cartilagini è dovuto al tempo necessario alla fuoriuscita del liquido dal materiale, che ne consente la deformazione

Comportamento viscoelastico della cartilagine articolare

Quando è applicato un carico di intensità costante, il materiale inizialmente risponde con una deformazione elastica relativamente grande.

Il carico applicato produce gradienti di pressione nel fluido interstiziale, e le variazioni della

pressione costringono il fluido a scorrere attraverso e fuori dalla matrice cartilaginea.

Se il carico è mantenuto, l’entità della deformazione cresce con una velocità decrescente 

la deformazione tende verso uno stato di equilibrio allorché le variazioni di pressione all’interno del fluido si dissipano.

Quando il carico applicato è rimosso (fase di scarico), si verifica un recupero elastico istantaneo che è seguito da un recupero più graduale che conduce ad un completo recupero

Modello viscoelastico per la cartilagine articolare

Il comportamento viscoelastico della cartilagine può essere rappresentato dal modello di solido viscoelastico a 3 parametri, che consiste di una molla lineare e una unità di Kelvin-Voight connesse in serie

 

Prova di rilassamento cartilagine

Prova di rilassamento = consiste nell’applicare uno sforzo di compressione a velocità costante (linea della figura a sinistra) finché non si raggiunge il valore u0 dello spostamento ➔ oltre il punto B, si mantiene costante u0.

Ci sono due fasi:

- compressione = lo sforzo cresce con continuità fino a che non si raggiunge il valore , corrispondente a u0.

- rilassamento = lo sforzo decresce con continuità lungo la B-C-D-E finché non si raggiunge il valore di equilibrio dello sforzo .

Prova di creep cartilagine

Prova di creep = consiste nell’applicare uno sforzo costante di compressione

Nell’istante si applica al tessuto uno sforzo costante di compressione () (punto A) e si lascia che il tessuto subisca una deformazione viscosa fino alla deformazione finale di equilibrio ().

Il creep è causato dal deflusso del fluido interstiziale ➔il deflusso è inizialmente molto rapido,

come evidenziato dalla alta velocità iniziale decrescente deformazione, e poi diluisce gradualmente finché avviene la cessazione del flusso.

Durante il creep, il carico applicato alla superficie è equilibrato:

  • dallo sforzo di compressione sviluppato dentro la matrice solida collagene-PG

  • dalla resistenza attritiva generata dal flusso del fluido interstiziale durante il deflusso

Il creep cessa quando lo sforzo di compressione sviluppato dentro la matrice solida è sufficiente a equilibrare da solo lo sforzo applicato ➔ a questo punto non c’è più flusso di fluido e si raggiunge la deformazione di equilibrio

All’equilibrio, non sussiste flusso di fluido e pertanto la deformazione di equilibrio può essere usata per misurare il modulo di elasticità intrinseco a compressione della matrice solida di collagene e PG

Flusso di liquido nella cartilagine

Il flusso Q di liquido che attraversa uno strato di superficie A e spessore H di cartilagine, sottoposta ad un gradiente di pressione , è descritto dalla legge di Darci:

k = permeabilità, ovvero la facilità con uni il liquido attraversa il tessuto, ed è proporzionale alla porosità ed inversamente proporzionale alla viscosità e alla densità.

Tramite la legge di Darci si può calcolare la velocità media con cui il fluido fuoriesce dalle cartilagini in condizioni fisiologiche, che risulta essere una velocità estremamente bassa ➔ per avere un flusso di una quantità apprezzabile di liquido servono gradienti di pressione molto elevati, soprattutto se si considera che i carichi vengono applicati in un intervallo di tempo molto breve

Il flusso di liquido all’interno della cartilagine ha però delle funzioni molto importanti, quali:

1. Controllo della deformazione (proprietà meccaniche e viscoelastiche)

2. Apporto di sostanze nutritive ed eliminazione dei rifiuti metabolici

3. Distribuzione delle sollecitazioni sull’osso inferiore

4. Controllo della differenziazione e dell’attività dei condrociti

5. Lubrificazione

Comportamento della cartilagine articolare a trazione

Curva sforzo-deformazione a trazione per la cartilagine articolare in condizioni di velocità di deformazione bassa e costante.

La cartilagine articolare tende a irrigidirsi al crescere della deformazione quando questa diventa grande ➔ pertanto, nell’intero intervallo di deformazione (fino a 60%) a trazione, la cartilagine articolare non può essere descritta da un solo modulo di Young

Piuttosto, per descrivere la rigidezza a trazione del tessuto, si deve usare un modulo tangente, definito dalla inclinazione della retta tangente alla curva sforzo-deformazione

Questo risultato fondamentale ha dato luogo all’ampio intervallo del modulo di Young riportato per la cartilagine articolare in trazione.

Dal punto di vista morfologico, la causa che spiega la forma della curva sforzo-deformazione a

trazione per grandi deformazioni è illustrata nei diagrammi sulla destra della figura:

  • la regione iniziale soffice è dovuta allo strecciamento e al riallineamento delle fibre di collagene durante la porzione iniziale dell’esperimento a trazione

  • la regione finale lineare è dovuta allo stiramento delle fibre di collagene raddrizzate e allineate

Il collasso avviene quando tutte le fibre di collagene contenute nel campione si sono rotte

Comportamento della cartilagine articolare a taglio puro

A trazione e a compressione si possono determinare solo le proprietà elastiche intrinseche all’equilibrio della matrice solida di collagene-PG ➔ciò è dovuto al fatto che quando un materiale è soggetto a trazione o compressione uniassiale, avviene sempre una variazione di volume ➔ questa variazione di volume provoca il flusso del fluido interstiziale e induce effetti viscoelastici bifase dentro il tessuto

Se, tuttavia, la cartilagine articolare è provata a taglio puro in condizioni di deformazioni  piccole, all’interno del materiale non si producono gradienti di pressione o variazioni di  volumequindi, non avviene alcuno flusso di fluido interstiziale ➔pertanto, al fine di stabilire le proprietà viscoelastiche intrinseche della matrice solida del collagene-PG si può ricorrere ad un esperimento a taglio puro in condizioni stazionarie.

Prove meccaniche per la caratterizzazione della cartilagine

Le prove meccaniche sulla cartilagine sono mirate a studiare le caratteristiche delle singole parti che costituiscono la cartilagine, ovvero la parte liquida formata dalla matrice acquosa con elettroliti e sali e la parte solida formata da collagene e PG

In generale si distingue tra prove:

  • confinate =  il liquido può fuoriuscire solo nella direzione di applicazione del carico, dunque si tratta di prove monodimensionali

  • non confinate = il liquido può fuoriuscire in tutte le direzioni, ricreando una situazione più simile a quella fisiologica

Le principali prove sono:

  • prove di permeabilità

  • prove viscoelastiche (rilassamento e creep)

  • prove dinamico-meccaniche (torsione e taglio)

Prove di permeabilità

Determinano il coefficiente di permeabilità K (che si ricava dalla legge di Darci applicando al materiale un certo gradiente di pressione) misurando la velocità di fuoriuscita del liquido dal provino si può ricavare il coefficiente K

Prove viscoelastiche

Le prove di creep e di rilassamento condotte sulla cartilagine ne evidenziano il comportamento

viscoelastico.

La prova di creep inoltre permette di valutare le caratteristiche della matrice solida: la prima fase è legata alla perdita di liquido, mentre nella seconda fase la matrice solida si compatta e si

raggiunge una deformazione omogenea, in cui l’intero carico è sostenuto dalla matrice solida.

Dunque il valore di deformazione all’equilibrio è dovuto al solo modulo elastico della parte solida, mentre la storia di deformazione precedente è legata al flusso del liquido e alla permeabilità

Prove dinamico-meccaniche (torsione e taglio)

Prove dinamico-meccaniche = non prevedono la variazione di volume del provino, ma solo una variazione di forma.

In esse, si applica uno sforzo di taglio costante nel tempo con andamento sinusoidale: se il materiale è viscoelastico il rapporto tra sforzo e deformazione, ovvero il modulo elastico tangenziale G, è piccolo e assume la forma di un numero complesso:

  • la parte reale di G rappresenta l’energia di deformazione accumulata dalla parte solida del materiale, ovvero la rete di collagene e proteoglicani (proprietà elastiche)

  • la parte immaginaria di G rappresenta l’energia dissipata dalla parte viscosa del materiale, quindi il comportamento viscoso associato al liquido sinoviale

Si impone uno sforzo di taglio sinusoidale e si ottiene una deformazione angolare del solido, anch’essa sinusoidale con uno sfasamento :

Si calcola poi il modulo elastico tangenziale G come rapporto tra sforzo di taglio e deformazione angolare ➔ si ottiene un numero complesso, esprimibile nelle varie forme (esponenziale, polare):

G si può anche esprimere in termini di modulo e fase

Attrito della cartilagine

Le cartilagini hanno dei coefficienti di attrito estremamente bassi grazie alla lubrificazione apportata dalla presenza del liquido sinoviale.

I meccanismi di lubrificazione del liquido sinoviale sono tre:

  • lubrificazione al limite = interviene in condizioni statiche e favorisce il movimento articolare

  • lubrificazione idrodinamica = interviene ad elevate velocità creando un meato di liquido

  • lubrificazione di squeeze film = interviene a basse velocità impedendo il contatto tra le superfici (associato a lubrificazione idrodinamica)

L’elasticità delle cartilagini svolge un ruolo fondamentale nella lubrificazione delle articolazioni

perché la loro deformabilità aumenta la superficie utile per lo scambio di forze di contatto con un duplice effetto:

  • diminuisce la pressione di contatto

  • aumenta l’area che intrappola il fluido interposto dalle due superfici, quindi l’area del film lubrificante

Se la cartilagine è elastica la sua superficie tenderà ad essere più piatta e ad allargarsi un po’ ➔ se diventa più piatta il meccanismo di lubrificazione idrodinamica diventa più efficace perché aumenta la superficie che serve per surfare ➔avere qualcosa che allarga la propria superficie di sostengo avviene sia nella lubrificazione idrodinamica che nello sqeeeze film ➔si ha la possibilità di avere una buona lubrificazione per tempi più lunghi

Fluido sinoviale

Il fluido sinoviale è il fluido presente all’interno delle articolazioni, che favorisce la lubrificazione e lo scorrimento di cartilagini e ossa e ne garantisce tutte le proprietà meccaniche viste in

precedenza

Comportamento del fluido sinoviale

Il liquido sinoviale si comporta come un liquido non newtoniano, la cui viscosità cresce marcatamente al diminuire dello scorrimento , ovvero il gradiente di velocità.

Liquido non newtoniano = è un liquido la cui viscosità varia al variare dello sforzo di taglio applicato e non è costante come per i liquidi newtoniani:

Cenni sui comportamenti dipendenti dal tempo

Modelli statici

Molti degli aspetti essenziali del comportamento dei materiali possono essere visualizzati con l’ausilio di semplici modelli meccanici.

Nei modelli statici la variabile tempo non interviene nella descrizione macroscopica.

Comportamento elastico lineare (figura a)

La molla in figura, ha rigidezza k ed instaura un legame di proporzionalità tra la forza applicata e la variazione di lunghezza :

Comportamento rigido idealmente plastico (figura b)

Il blocco ad attrito in figura non consente spostamento fintanto che è , dove R è la massima reazione che l’attrito può fornire. Per sono possibili spostamenti di entità arbitraria nel verso di FP. Per l’equilibrio non sussiste. Il modello quindi prevede:

Il modello incorpora anche l’irreversibilità propria del comportamento plastico: se, dopo che

è stata prodotta una up>0 la forza viene diminuita, incrementi di spostamento in direzione

opposta sono possibili solo per FP = -R

Comportamento idealmente elasto-plastico (fig. 3.35a)

Il comportamento idealmente elasto-plastico risulta dalla composizione in serie dei due

modelli. Essi sono individualmente soggetti alla stessa forza ; fintanto che questa è

minore di R la sola molla si deforma, con spostamento proporzionale alla forza applicata; per

F=R il blocco scorre impedendo alla forza di aumentare il suo valore; allo scarico solo lo spostamento elastico viene recuperato.

Comportamento rigido linearmente incrudente (fig.3.35b)

I due modelli elementari hanno lo stesso spostamento mentre la forza applicata si

ripartisce tra i due elementi Fintanto che F<R il blocco ad attrito impedisce lo

scorrimento e la molla è a riposo. Quando F supera R il blocco scorre, consentendo alla molla

di allungarsi di una quantità proporzionale a F-R

Comportamento elastico linearmente incrudente (Fig. 3.35c)

Per l’equilibrio, sia la molla inferiore che la parte superiore sono soggetti alla stessa forza F 

Se la forza F è minore di R solo la prima si deforma

Per F>R il blocco ad attrito scorre e la molla superiore viene impegnata da F-R. Lo spostamento

è costituito dalla somma dei contributi delle parti e risulta

 

 

 

 

È intuibile come modelli complessi, che combinino in vario modo i due elementi fondamentali siano in grado di rappresentare svariati comportamenti elasto-plastici. Poiché i parametri ed sono costanti il diagramma risultante (F,u) risulta lineare a tratti comunque in grado di approssimare un andamento curvo con precisione adeguata.

Modelli reologici

Modello linearmente viscoso

Il dispositivo in figura è il modello reologico del materiale linearmente viscoso, è costituito da un

pistone che scorre in un cilindro contenente un liquido che fluisce attorno al pistone man mano che questo si sposta. La costante di viscosità V lega la forza applicata Fv alla velocità del pistone:

All’applicazione del carico non corrisponde una risposta istantanea; lo spostamento procede solo gradualmente e richiede tempo per svilupparsi. Se il carico viene rimosso lo spostamento non viene recuperato neppure in minima parte, per Fv= 0 corrisponde 𝑢𝑣 = 𝑐𝑜𝑠𝑡.

Non è possibile imporre al modello spostamenti istantanei; uno spostamento finito può essere

raggiunto solo in un certo intervallo di tempo, al prezzo di forze tanto più elevate quanto più breve è l’intervallo di tempo.

Il comportamento dei materiali reali è meglio rappresentato da modelli reologici viscoelastici che

combinano l’elemento viscoso con la molla. I due modelli più usati sono il modello di Maxwell e di Kelvin-Voigt.

Modello di Maxwell

Modello di Maxwell = gli elementi molla e viscoso sono disposti in serie, e la deformazione risultante è la somma delle deformazioni della molla e dello smorzatore.

La forza è ad ogni istante uguale nei due elementi elastico e viscoso, mentre lo spostamento è la somma dei contributi elastico e viscoso

Poichè per i due elementi risulta:

 

 

 

Si ottiene l’equazione differenziale che governa l’evoluzione del modello di Maxwell

 

 

Modello di Voigt

Modello di Voigt = la molla e lo smorzatore elastico sono collegati in parallelo. Lo sforzo totale è pari a:

La forza è suddivisa nei due elementi elastico e viscoso che subiscono lo stesso spostamento, si ha quindi:

 

Da cui poiché:

 

 

 

Si ottiene l’equazione differenziale del modello di Voigt:

Si valuta ora la risposta dei due modelli nelle condizioni di puro creep e puro rilassamento.

Prova di creep = misura l’evoluzione nel tempo dello spostamento sotto carico costante.

Prova di rilassamento = misura l’evoluzione della forza a spostamento imposto.

 

Prova di creep

Il modello di Maxwell associa istantaneamente al carico lo spostamento elastico:

Successivamente, dato che la forza è costante:

Da cui il problema di Cauchy: 

la cui soluzione è:

Nel modello di Voigt invece l’elemento viscoso non consente spostamenti istantanei e, di

conseguenza, a t = 0 la molla è scarica. 

Da cui il problema di Cauchy:

 

 

La soluzione all’equazione è:

 

 

 

La costante A si determina dalla condizione iniziale:

La soluzione è pertanto:  

 

 

Prova di rilassamento

Il modello di Maxwell associa istantaneamente allo spostamento forza decade nel tempo in quanto lo spostamento che man mano si sviluppa nell’elemento viscoso diminuisce l’impegno di quello elastico. L’andamento di F(t) si ottiene integrando il modello di Maxwell sotto la condizione iniziale 𝐹(0) = 𝐾

 

 

 

La soluzione si scrive

 

 

Nel modello di Voigt lo spostamento u(t) raggiunge il suo valore finale la forza F diventa estremamente elevata. Successivamente, essa è interamente supportata dalla molla in quanto per u = cost l’elemento viscoso prevede = 0; è quindi:  

Per quanto riguarda la condizione di creep il modello di Voigt potrebbe essere tarato in modo da approssimare il transitorio iniziale ma non le fasi successive, il modello di Maxwell può approssimare solo la seconda fase (creep secondario) dove l’effettivo andamento di u(t) è quasi lineare. 

In condizioni di rilassamento il modello di Maxwell produce risultati qualitativamente simili a quelli sperimentali in Fig.(b) anche se la forza tende a zero al crescere del tempo, mentre il modello di Voigt prevede un carico residuo che è raggiunto immediatamente.

Opportune combinazioni dei due modelli consentono tuttavia di rappresentare comportamenti più realistici componendo questi modelli

Ulteriori modelli per la viscoelasticità

Modello di Burger

Modello di Burger =  composto da un modello di Maxwell in serie con un modello di Voigt-Kelvin. Esso è usato per sistemi reali, in cui i due modelli singolarmente non sono idonei.

 

Possiamo vedere che quando si applica uno sforzo , abbiamo una deformazione istantanea

(a→b, ). Questa fase è seguita da una deformazione tempo-dipendente che tende ad assumere un flusso viscoso costante (b→c, ). Quando si rimuove lo sforzo di deformazione, otteniamo un rilassamento spontaneo (c→d) che è uguale alla deformazione da e questa fase è seguita da un rilassamento ritardato (d→e) ma il flusso viscoso da b a c non viene recuperato.

L’equazione costitutiva per il modello di Burger può essere derivata considerando la risposta del sistema all’applicazione di una deformazione determinata da uno stress constante che viene  esercitato su tutti gli elementi che compongono il modello.

Creep – Modello di Voigt generalizzato

 

Modello di Voigt generalizzato = è costituito da un singolo elemento di Maxwell e da un certo numero di elementi di Voigt collegati in serie. Posto    (tempi di ritardo):

 

Rilassamento – Modello di Maxwell generalizzato

 

Modello di Maxwell generalizzato = è costituito da un singolo elemento di Voigt e da un certo numero di elementi di Maxwell collegati in serie. Posto    (tempi di ritardo):

 

Sia per il modello di Maxwell generalizzato che per quello di Voigt, al variare dei parametri si possono rappresentare comportamenti viscoelastici molto generali.

Cenni ai modelli continui

Il comportamento viscoelastico si presenta intermedio tra quelli elastico e viscoso.

L’evoluzione temporale delle tensioni e delle deformazioni può essere espresso attraverso una formulazione integrale che tiene conto della variabilità temporale delle grandezze in gioco, le relazioni tensioni deformazioni si scrivono per la prova di rilassamento nella forma:

 

Dove 𝝌(𝑡) è il tensore di rilassamento che t=0 coincide con il tensore di rigidezza del materiale 𝝌(0) = 𝑪

Per la prova di creep si utilizza la formulazione inversa a quella della prova di rilassamento:

 

Dove 𝝍(𝑡) è il tensore di creep che per t = 0 coincide con il tensore di cedevolezza del  materiale 𝝍(0) = 𝑨

Viscoelasticità – Studi delle proprietà meccaniche in regime oscillatorio

Per evidenziare le proprietà viscoelastiche dei materiali si possono utilizzare delle prove dinamiche in regime oscillatorio.

Le prove dinamiche in regime oscillatorio rappresentano un metodo molto utilizzato per ottenere

informazioni sui sistemi viscoelastici biopolimerici in soluzione e allo stato di gel. Questo metodo

si chiama spettroscopia meccanica.

Il campione viene sottoposto a delle deformazioni oscillatorie armoniche di taglio ad una frequenza angolare e si misura la risposta (oscillatoria) relativa alla forza.

La deformazione oscillatoria che viene applicata sul campione può essere quindi rappresentata dalla seguente equazione:

 

dove 𝛾0 è l’ampiezza massima della deformazione. A seguito di questa deformazione applicata, si registra uno sforzo associato. Dal momento che i materiali sono viscoelastici, lo sforzo può essere suddiviso in una componente elastica e una componente viscosa.

La risposta elastica è una risposta in fase con quella della deformazione (G = modulo di elasticità tangenziale):

 

 

La risposta viscosa la possiamo valutare a partire dalla relazione tra sforzo e deformazione per fluidi viscosi:

 

 

 

 

Tessuto vascolare

I tessuti vascolari sono ricchi di elastina, e infatti sono molto elastici. Subiscono grandi deformazioni quando sono sottoposti a piccoli carichi.

Elastina

  • modulo elastico molto basso

  • energia dissipata molto bassa

Elastina comportamento a trazione

  • grande estensibilità, reversibile anche per elevate deformazioni.

  • comportamento elastico con bassa rigidezza fino a deformazioni di circa 200%.

  • in una successiva ristretta regione, la rigidezza aumenta rapidamente fino al collasso.

  • non si manifestano sensibili deformazioni plastiche prima della rottura

  • il percorso di carico e scarico non mostra significativa isteresi

Elastina comportamento per sollecitazione ciclica

Il comportamento è elastico in quanto alla fine del ciclo tutta la deformazione viene recuperata e l’energia dissipata per viscosità è molto modesta

Vasi sanguigni

I vasi sanguigni che costituiscono il sistema vascolare si distinguono in base alla funzione, alla

loro dimensione e alla loro composizione, che comporta proprietà meccaniche diverse tra le

varie tipologie di vasi ➔essi però sono accomunati dalla stessa struttura a tre strati.

Essi hanno una struttura a tre strati, ciascuno dei quali ha una specifica funzione (lo spessore di ogni strato varia in base alla tipologia di vaso considerato), che sono:

  1. tunica intima = è lo strato più interno dei vasi ed è costituito da un singolo strato di cellule endoteliali (endotelio) e da uno strato di collagene. Quando c’è pressione al suo interno esse si allunga. Le sue funzioni sono:

  2. barriera meccanica e controllo della penetrazione di sostanze da e per il vaso

  3. ruolo attivo nel processo di coagulazione ed infiammazione

  4. recezione di sintomi meccanici e produzione di sostanze “segnale”

  5. tunica media = strato intermedio, generalmente più spesso degli alti due, costituito principalmente da cellule muscolari lisce e da una piccola parte di tessuto connettivo, collagene ed elastina

  6. tunica avventizia = è lo strato più esterno, costituito principalmente da collagene disposte in direzione longitudinale e in piccola parte da cellule muscolari lisce

Classificazione dei vasi sanguigni

Essi si distinguono in base al tipo di sangue che trasportano e in base alla loro dimensione in:

  • arterie

  • capillari

  • vene

Arterie

Sono i vasi che portano ossigeno ai vari distretti corporei e si distinguono in diverse classi in base al loro diametro:

  • grandi arterie = sono caratterizzate da una parete molto spessa

  • arterie muscolari = costituite prevalentemente da cellule muscolari lisce

  • arteriole = sono costituite da pochi strati di muscolo liscio e poche fibre elastiche

Capillari

Sono vasi sottili in cui non è presente tessuto muscolare. Ci sono tre tipi di capillari:

  • capillari continui = le cellule endoteliali sono disposte in direzione del flusso

  • capillari fenestrati = permettono il passaggio di sostanze

  • capillari sinusoidi = permettono il passaggio di grosse sostanze e intere cellule

Si può ricavare il valore della resistenza idraulica offerta da capillari al passaggio di un liquido come il rapporto tra il gradiente di pressione del liquido e la portata → la resistenza offerta dai capillari è legata al loro raggio → più i capillari sono piccoli e maggiore è la resistenza (legge di Poiseuille)

Vene

Raccolgono il sangue deossigenato, esse (rispetto alle arterie) sono caratterizzate da:

  • pressione minore → pareti più sottili

  • lume più ampio

  • minor contenuto di elastina

Esse possono collassare facilmente a causa di pressione esercitate dall’esterno

Esse si classificano in base a diversi fattori:

Vene recettive = non risentono dell’effetto di gravità

Vene propulsive = risentono dell’effetto di gravità

Test meccanici sui vasi

Sui vasi si possono condurre due tipi di test meccanici di trazione uniassiale, ciascuno dei quali utilizza provini ricavati in diverso modo:

  • test di striscia = il provino viene tagliato dalla parete del vaso ed ancorato alla macchina di prova; si possono condurre test nelle varie direzioni a seconda che il provino venga tagliato in direzione longitudinale o trasversale. Tagliando il vaso (generalmente con la dima) si può però danneggiare la parete e quindi ottenere un comportamento diverso da quello fisiologico

  • test ad anello = la sezione circolare del vaso rimane intatta, quindi si ottengono risultati più simili a quelli fisiologici (anche se influenzato da sollecitazioni flessionali), ma si può testare il provino solo in direzione circonferenziale

Disposizione e proprietà meccaniche dei componenti

Nei vasi i vari componenti si dispongono in modo particolare per svolgere al meglio la loro funzione:

  • le fibre muscolari sono avvolte ad elica a passo piccolo, configurazione che permette una contrazione più efficiente del vaso quando le fibre si contraggono

  • l’elastina forma una lamina con fenestrature in direzione longitudinale che permettono il passaggio di sostanze

  • il collagene forma una rete disordinata con fibre in direzione sia longitudinale sia trasversale, che si ordinano progressivamente quando il vaso viene sollecitato

Proprietà meccaniche dei vasi

La risposta meccanica dei vasi sanguigni è fortemente anisotropa. Il comportamento è più rigido in direzione longitudinale rispetto alla direzione radiale.

Proprietà meccaniche delle arterie

Dai test di striscia in direzione circonferenziale si ottengono dei grafici caratterizzati da due andamenti principali: inizialmente il grafico è lineare con una pendenza molto bassa, quindi un basso modulo elastico, dovuto al fatto che a bassi sforzi lavorano solo elastina e muscoli, mentre per sforzi elevati l’andamento diventa non lineare e la pendenza molto ripida, quindi un modulo elastico elevato, dovuto al progressivo reclutamento del collagene.

I test di striscia si possono condurre in tutte le direzioni e si possono quindi confrontare i risultati in direzione longitudinale e circonferenziale ➔ si nota che le scale dei due grafici sono diverse e che le pareti dei vasi hanno prestazioni notevolmente migliori in direzione circonferenziale (le arterie infatti sono caratterizzate da pressioni elevate, a cui le pareti devono resistere).

Per entrambe le direzioni si possono distinguere i due andamenti: uno iniziale caratterizzato da basso modulo elastico (EL) dovuto all’elastina e ai muscoli e uno finale caratterizzato da alto modulo elastico (EH) dovuto al collagene ➔inoltre i valori di sforzo e deformazione a rottura per le due direzioni presentano una certa variabilità, ma si possono ricavare dei valori medi.

Il comportamento in direzione longitudinale e circonferenziale varia leggermente nelle singole  arterie, ma si possono ricavare delle relazioni generali (che possono però venir meno nei singoli casi) ➔in generale si può affermare che:

Poiché le arterie in condizioni fisiologiche lavorano in condizioni cicliche permanenti, quando si vogliono effettuare dei test è necessario condurre un ciclo di precondizionamento prima di registrare i risultati, per ottenere dei provini nelle stesse condizioni dei vasi nel corpo.

Proprietà meccaniche delle vene

Le vene hanno un comportamento meccanico diverso da quello delle arterie e in particolare hanno delle prestazioni migliori in direzione longitudinale, al contrario delle arterie.

ll grande pretensionamento subito dalle vene è tale da reclutare anche le fibre di collagene ed è un meccanismo che evita il fenomeno di kinking, ovvero il ripiegamento del vaso che comporta la chiusura totale del lume di passaggio.

Kinking = applicando una flessione sul vaso, le pareti rispondono inizialmente con una compressione delle fibre interne e una trazione sulla parete esterna, che aumenta fino a che il vaso si piega e il lume di passaggio si chiude

Nelle arterie questo fenomeno è prevenuto dalla forte pressione del liquido che scorre all’interno del vaso, che impedisce il ripiegamento della parete interna.

Nelle vene invece la pressione è ridotta, quindi per prevenire il kinking è necessario un notevole pretensionamento.

Modelli dei vasi

Ai vasi sanguigni non si può applicare la teoria dei contenitori a parete sottile (il rapporto s/d < 0,1) ma bisogna trattarli come contenitori a parete spessa, per cui lo sforzo circonferenziale e radiale non è costante lungo la parete ma varia al variare del raggio.

Imponendo l’equilibrio su un volume infinitesimo di parete spessa si ottiene l’equazione di Eulero, ovvero un’equazione differenziale di secondo grado che esprime lo spostamento dell’elemento di parete in direzione radiale in funzione del raggio ➔dalla soluzione di tale equazione si ricavano le seguenti quantità:

Teoria dei recipienti a parete sottile

Per vasi con rapporto sezione/diametro < 0,1

Il teorema della parete sottile si usa per calcolare la dilatazione di un vaso sottoposto ad una certa pressione oppure per calcolare la pressione che ha causato una certa dilatazione.

Teoria dei recipienti a parete spessa

Per vasi con rapporto sezione/diametro > 0,1

Tessuto ematico

Il tessuto ematico, ovvero il sangue, svolge importanti funzioni di trasporto di nutrienti e ormoni oltre ad essere importante durante la coagulazione.

Il sangue è composto da una parte liquida (plasma) in cui sono presenti numerose particelle in sospensione (ematocrito).

Liquidi newtoniani e non newtoniani

Definiamo lo shear rate (gradiente di velocità in direzione radiale) e viscosità:

  • shear rate:

  • viscosità:

Un liquido si dice newtoniano se la sua viscosità è indipendente dallo shear rate, ovvero dal gradiente di velocità in direzione radiale, e in questo caso lo sforzo di taglio è direttamente proporzionale allo shear rate ➔infatti la viscosità si ottiene derivando lo sforzo di taglio rispetto allo shear rate, ma essendo questa una relazione lineare si ottiene una viscosità costante:

Un liquido invece si dice non newtoniano se la sua viscosità dipende dallo shear rate, dunque lo sforzo di taglio presenta un andamento non lineare rispetto allo shear rate.

Il sangue a causa della sua natura particolare presenta a rigore un comportamento non newtoniano, ma nei vasi di diametro superiore a 0,3 mm si può approssimare ad un liquido newtoniano (dunque fino a livello delle arteriole) ➔nei vasi di diametro inferiore ai 0,3 mm invece il diametro delle particelle non è trascurabile rispetto alla dimensione del vaso e causa un comportamento non newtoniano.

Il sangue si considera newtoniano solo se i valori di shear rate sono sufficientemente grandi

Reologia del sangue

Reologia =  è la disciplina che studia il comportamento dei liquidi e delle sospensioni e in generale la loro attitudine a fluire e scorrere ➔per descrivere la reologia del sangue sono necessari almeno due fattori, ovvero densità e viscosità (che dipendono a loro volta da altri parametri)

Densità = dipende sia dalla densità del plasma sia dall’ematocrito e per ottenere la densità finale del sangue si fa una media pesata delle densità delle varie componenti ematiche:

Ematocrito (Ht) = si esprime in percentuale e rappresenta la porzione di sangue costituita da

particelle ➔per approssimazione si può considerare la sua densità coincidente con quella dei

globuli rossi (gr)

Viscosità = per vasi di diametro superiore a 0,3 mm il sangue si può approssimare ad un fluido

newtoniano, quindi la sua viscosità risulta costante ed è per definizione il rapporto di proporzionalità tra sforzo di taglio e gradiente di velocità (o shear rate).

Se si considera il sangue come liquido newtoniano si può considerare la viscosità indipendente

dallo shear rate, ma il suo valore dipende comunque da altri fattori, come la viscosità dell’acqua (che dipende a sua volta dalla temperatura) e la viscosità del plasma (che dipende a sua volta dall’ematocrito).

Viscosità dell’acqua = risente fortemente della temperatura T (espressa in Kelvin) ➔generalmente sopra la temperatura di 20°C si prende come riferimento una viscosità di 1 mPa*s

Viscosità del plasma = risente della viscosità dell’acqua (quindi della temperatura), ma l’andamento è diverso prima e dopo i 20°C ➔al contrario dell’acqua, abbassando la temperatura la viscosità del plasma diminuisce

Viscosità del sangue = risente della viscosità del plasma (quindi a sua volta della temperatura) e delle caratteristiche dell’ematocrito, quindi nella percentuale e della grandezza delle particelle.

Dipende in piccola parte anche dalla forma dei globuli rossi, che all’aumentare dello shear rate assumono una forma ellissoidale allineata con la direzione del moto, che determina una riduzione di viscosità ➔a bassi shear rate invece si formano dei rouleaux (impacchettamento dei globuli rossi dovuto all’interazione elettrostatica) che fanno aumentare la viscosità

Modelli reologici non newtoniani

Quando il sangue non può essere considerato un fluido newtoniano si utilizzano dei modelli che approssimano l’andamento non lineare nel grafico sforzo di taglio – shear rate.

L’andamento reale di un fluido non newtoniano è descritto dalla seguente relazione, dove la viscosità μ non è costante e causa un comportamento non lineare:

Modelli reologici non newtoniani: modello di Bingham

Approssima l’andamento nel grafico a due rette, una verticale fino a  e una obliqua.

Il modello approssima molto bene l’andamento per valori elevati di shear rate, mentre lo scostamento tra modello ed andamento reale per bassi valori di shear rate è rilevante

Modelli reologici non newtoniani: modello di Casson

Approssima l’andamento nel grafico ad una parabola e approssima molto bene l’andamento reale per valori di shear rate bassi ed intermedi, ma non per valori grandi

L’equazione non è uguale a quella del modello di Bingham perché elevando al quadrato per ottenere lo sforzo di taglio compare un termine misto dovuto al doppio prodotto.

In generale la viscosità si considera uguale in tutti i modelli e dipende come illustrato prima dall’ematocrito e dalla temperatura del sangue:

Fluidodinamica

Tre equazioni di conservazione per i fluidi:

1- equazione di conservazione della massa (equazione di continuità)

2- equazione di conservazione della quantità di moto

3- equazione di conservazione dell’energia

Equazione di conservazione della massa

In un sistema aperto, la conservazione della massa è espressa nel seguente modo:

La variazione di massa nel tempo può essere dovuta a due fattori: pareti deformabili o fluido comprimibile

Equazione della conservazione della quantità di modo

Il principio di conservazione della quantità di moto, ovvero la legge di Poiseuille, si può dimostrare solo sotto particolari ipotesi:

Poiseuille per fluidi newtoniani

Q = portata

L'equazione di Poiseuille viene ricavata dalle equazioni di Navier-Stokes 

Poiseuille per fluidi non newtoniani

Risolviamo l’equazione di Poiseuille in condizioni di fluido non newtoniano, quindi con viscosità variabile e approssimato ad esempio con un modello di Bingham, dove r0 è il raggio del condotto in corrispondenza di

Equazione di conservazione dell’energia

La conservazione dell’energia, nota anche come legge di Bernoulli, si può dimostrare con le

seguenti ipotesi:

a) Pareti rigide

b) Fluido incomprimibile

Per un fluido ideale in assenza di perdite la conservazione dell’energia è data dalla legge di Bernoulli:

Le perdite che si verificano nel caso di fluido non ideale sono di due tipi: perdite diffuse, causate ad esempio dalle resistenze viscose lungo il vaso, e perdite concentrate, causate da particolari geometrie locali che creano delle perdite di pressione

Nel caso delle perdite concentrate la perdita di pressione non segue la legge di Poiseuille (resistenza idraulica) ma ci sono perdite più importanti proporzionali al quadrato della velocità:

 

Risposte domande di sdc

1) Secondo il criterio di Von Mises, la frontiera elastica è: un cilindro con sezione retta circolare il cui asse coincide con l'asse idrostatico

2) Nell'ambito del problema del Saint Venant, risulta che: la torsione  rappresenta l'angolo di rotazione relativa tra due sezioni della trave poste a distanza unitaria

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