Riassunti bioingegneria informatica A

Riassunti bioingegneria

Elementi di elettrotecnica

Carica elettrica: grandezza fisica fondamentale definita come la quantità di elettricità di cui è dotato un corpo. L’unità di misura della carica elettrica è il Coulomb (C).

Oggetto elettricamente neutro: in esso la carica positiva e quella negativa sono uguali

Corpo carico: lo è quando la carica è sbilanciata, ossia la sua carica netta non è nulla.

Conduttori: sono sostanze attraverso cui le cariche si muovono abbastanza liberamente.

Isolanti/non conduttori: sono sostanze in cui le cariche non possono muoversi liberamente.

Corrente elettrica: moto ordinato di cariche elettriche per effetto di un campo elettrico applicato. Un moto disordinato, o casuale, di cariche elettriche non costituisce una corrente elettrica.

Portatori di carica: particelle o corpi dotati di carica elettrica che muovendosi costituiscono la corrente elettrica. Il verso della corrente è quello in cui si muovono i portatori di carica positiva, oppure il verso opposto a quello in cui si muovono i portatori di carica negativa. Il verso della corrente è in ogni caso quello del campo elettrico che determina il moto delle cariche.

Intensità di corrente (I): è definita come la quantità di carica ΔQ che attraversa una qualunque sezione del conduttore nell’intervallo di tempo Δt:

I = ΔQ/Δt I si misura in ampere (1A = 1C/1s)

Densità di corrente (J): è invece definita come il rapporto fra l’intensità di corrente e la superficie di interesse: J = I/A

Conducibilità elettrica : è la conduttanza elettrica specifica di un conduttore, essa dipende dalla densità di corrente e dal campo elettrico:

J = è la densità di corrente in presenza del campo elettrico E.

Conduttanza (G): è l’espressione quantitativa dell’attitudine di un conduttore ad essere percorso da corrente elettrica. Essa è una caratteristica del conduttore, e non della sostanza di cui è composto. La conduttanza è data da:   

R = resistenza

A = area della sezione del conduttore

d = lunghezza del conduttore

= differenza di potenziale

Resistenza (R) = è l’inverso della conduttanza

Leggi di Ohm

I legge di Ohm

È una formula matematica che descrive la correlazione delle grandezze  elettriche (resistenza, corrente, tensione) al loro variare.

Definito il fattore di proporzionalità tra tensione V e corrente I come la resistenza elettrica R di quel conduttore, la prima legge di Ohm dice che:

V = RI ovvero I = V/R ovvero R = V/I

II legge di Ohm

Descrive la dipendenza di R dallo specifico conduttore e dalle sue caratteristiche geometriche:

R = ρ L/A

L = lunghezza del conduttore

A = area della sua sezione

ρ = costante di proporzionalità detta “resistività del conduttore” e dipende dal particolare materiale usato (unità di misura di ρ è Ω . m)

Circuiti elettrici

Circuito elettrico = è un insieme interconnesso di componenti elettrici e loro collegamenti in un percorso chiuso in modo che la corrente elettrica possa fluire con continuità

La d.d.p. ai capi della resistenza si dice pure caduta di potenziale.

Leggi di Kirchoff

I legge di Kirchoff o legge dei nodi: la somma delle correnti che entrano in nodo deve essere eguale alla somma delle correnti che escono dal nodo stesso. In altre parole: la somma algebrica delle correnti che interessano un nodo è uguale a zero.

II legge di Kirchoff o legge delle maglie: la somma algebrica delle differenze di potenziale rilevate su un circuito chiuso in un giro completo è nulla.

Tipologia di resistenze

Ci sono due tipi di resistenza in un circuito:

- in serie: due resistenze sono in serie quando l’estremo di uscita di una è collegato solo con l’estremo di entrata dell’altra, ossia le resistenze sono in sequenza.

Le resistenze in serie sono attraversate dalla medesima corrente ma hanno una diversa tensione.

Nell’esempio sopra, la corrente i attraversa le tre resistenze, per cui

V1 = I R1

V2 = I R2          

V3 = I R3

Poiché deve anche essere rispettata la relazione

V = V1 + V2 + V3 = I (R1 + R2 + R3) = I RSeq

Si avrà in definitiva: Req = R1 + R2 + R3

-in parallelo: due resistenze sono in parallelo quando gli estremi di entrata e gli estremi di uscita sono collegati fra loro.

Le resistenze in parallelo hanno stessa tensione ma diversa corrente.

In questo caso la corrente I si divide nei tre rami del circuito mentre la caduta di potenziale ai capi delle tre resistenze è la stessa. Si avrà:

I1 = V/R1   I2 = V/R2*I3 = V/R3

mentre: I1 +I2 +I3 = V/R1 + V/R2 + V/R3 = V(1/R1 + 1/R2 + 1/R3)

       

- equivalente: unica resistenza in grado di sostituire tutte le altre facendo in modo che la corrente totale che circola nel circuito non cambi.

Il calcolo della resistenza equivalente serve quindi per semplificare un circuito. Per calcolare la resistenza equivalente bisogna sostituire i gruppi di resistenze dello stesso tipo con la rispettiva resistenza equivalente, fino a quando non si arriva ad avere un circuito che ha un solo resistore.

Legge di Ohm generalizzata

La legge di Ohm può essere applicata al caso di corrente alternata, cioè un campo elettrico variabile nel tempo con un andamento sinusoidale.

Quando tensione e corrente sono funzioni del tempo, come in questo caso, si deve tenere conto degli effetti capacitivi ed induttivi del materiale o del circuito, e per descrivere l'energia scambiata con il materiale si ricorre all'utilizzo di un numero complesso, Z detto impedenza, tale che si abbia: V=ZI con Z = R + jX

la cui parte reale rappresenta il fenomeno dissipativo e corrisponde alla resistenza elettrica R, e la parte immaginaria, detta reattanza, X, è associata ai fenomeni energetici di accumulo.

Nel caso di corrente continua la nostra Z non è altro che la resistenza R.

Serie e parallelo di impedenze hanno lo stesso comportamento delle resistenze

Condensatore

Condensatore/capacitore: è un sistema fisico formato da due lastre piane, dette armature del condensatore, poste a piccola distanza fra loro, separate da un isolante o dal vuoto e cariche di segno opposte. La funzione principale del condensatore è di accumulare carica elettrica immagazzinando così una certa energia. L'energia che esso immagazzina è detta energia potenziale, che è uguale al lavoro necessario per caricarlo.

La capacità elettrostatica di un conduttore viene definita come:          

Un condensatore è di per sé un bipolo, cioè un dispositivo caratterizzato da una coppia di poli

Gli elettroni non riescono a passare direttamente da una piastra all'altra attraverso il dielettrico, proprio per le qualità di isolante del materiale utilizzato.

Quando viene applicata una differenza di potenziale a un condensatore nel dielettrico si assiste al fenomeno della polarizzazione: le molecole si dispongono a formare un dipolo elettrico che consente il passaggio della corrente nel condensatore.

Matematicamente tale equazione è data da:

Impedenza condensatore (Z)

Impedenza condensatore (Z): (analoga della resistenza per il resistore, ma complessa) definita come:

In tal caso si può scrivere la legge di Ohm generalizzata per il condensatore:

Condensatori in parallelo: se due o più condensatori hanno in comune le loro due coppie di poli, essi sono per definizione in parallelo

Per i condensatori in parallelo la tensione di ingresso è la stessa per entrambi i condensatori, mentre la carica di ingresso sarà data dalla somma delle cariche dei singoli condensatori.

La capacità equivalente è data dalla somma delle capacità:

 ++....+             

Condensatori in serie: i condensatori sono collegati sequenzialmente cioè ogni condensatore ha un solo polo collegato esclusivamente con un altro polo si dice che i due condensatori sono in serie.

Per condensatori in serie la carica è la stessa su entrambi i condensatori, mentre la tensione è data dalla somma delle tensioni di entrambi i condensatori.

Per condensatori in serie la capacità equivalente è data da:       

Induttore (o induttanza, L): è un dispositivo utilizzato per generare un campo magnetico al passaggio di corrente elettrica. In altre parole, un induttore è in grado di immagazzinare energia sotto forma di campo magnetico.

La tensione elettrica è direttamente proporzionale all’induttanza L:

Legge di Ohm generalizzata per l’induttore

Definendo l’impedenza dell’induttore come:    

si ottiene la legge di Ohm generalizzata per l’induttore:

Induttanze in serie: le tensioni per induttori in serie si sommano (V1 + V2) e di conseguenza le induttanze devono sommarsi (Leq = L1 + L2), proprio come avviene per le resistenze.

Induttanze in parallelo: in un collegamento in parallelo la corrente totale che scorre attraverso il circuito è la somma della corrente delle singole bobine. La tensione ai capi di ogni induttore è la stessa.

Circuito RLC: è un tipo di circuito contenente solo condensatori, resistori ed induttori.

Un circuito RLC ha tre elementi responsabili dell'impedenza totale:

1) impedenza della resistenza R

2) impedenza del condensatore o reattanza capacitiva XC= 1/⍵C = 1/2πfC

3) impedenza dell'induttore o reattanza induttiva XL= ⍵L = 2πfL

L’impedenza totale sarà quindi: Z = R +jX = R + j(XL -XC)

Partitore di tensione

Partitore di tensione: è un circuito costituito da più componenti passivi sui quali si fa ripartire la tensione applicata. Prelevando la tensione dai capi di uno solo dei componenti, si ottiene ovviamente una tensione più bassa. I partitori di tensione sono solitamente utilizzati per misurare alti valori di resistenza.

Una semplice configurazione è formata da due resistenze in serie, alimentate da una batteria in serie ad esse. Quello che interessa è rilevare la tensione ai capi di una delle due resistenze.

Il rapporto tra la tensione ai capi della resistenza di interesse e la tensione totale è uguale al rapporto tra la resistenza stessa e la somma delle due resistenze.

Modello matematico

Modello matematico: è una descrizione in termini matematici di un fenomeno reale ed è in grado di descrivere i legami esistenti tra le grandezze caratteristiche del fenomeno. Esso oltre ad avere il vantaggio della comunicabilità e della universalità può dare la possibilità di poter fornire una previsione del fenomeno.

Modello di un sistema: è una rappresentazione semplificata del sistema fisico reale in studio. Per mettere in evidenza il funzionamento di tale sistema, si deve usare una rappresentazione matematica e fisica che ne evidenzi le caratteristiche.

Schema a blocchi: è una rappresentazione matematica, fisica e schematica di un sistema semplice.

Tipi di modelli matematici

Modello matematico descrittivo: è l'espressione di relazioni quantitative in termini di equazioni allo scopo di ottenere una descrizione concisa ed economica e di conseguenza una maggiore facilità di analizzare e collezionare i dati sperimentali.

Modello matematico predittivo: serve a determinare come un sistema risponderebbe ad uno stimolo o ad una variazione all'interno del sistema stesso.

Modello matematico interpretativo: rappresenta il modo in cui differenti caratteristiche

del comportamento e della struttura del sistema dipendono le une dalle altre.

Modelli strutturali o funzionali

Possiamo distinguere due tipi di modelli:

- modello funzionale o a scatola nera: deriva dalla sola osservazione delle variabili accessibili alla misura, variando opportunamente le variabili indipendenti, o ingressi, e osservando la risposta delle variabili dipendenti o uscite. Questo tipo di modello ha generalmente una capacità prevalentemente descrittiva.

- modello strutturale o a scatola trasparente: presuppone una conoscenza a priori della struttura e della funzione del sistema. Questo tipo di modello, oltre a capacità descrittive, può essere utilizzato per predire il comportamento del sistema.

Processo di costruzione di un modello

Risoluzione del modello: se struttura e parametri del modello sono completamente noti le equazioni possono essere risolte direttamente in forma chiusa o in modo numerico. Altrimenti si procede con la fase seguente

Identificazione dei parametri e/o della struttura: se struttura e parametri del modello non sono completamente noti è necessario applicare procedure di stima per la loro determinazione utilizzando i dati sperimentali disponibili.

Validazione del modello: la validazione del modello consiste sostanzialmente nel confronto fra i risultati forniti dal modello e quelli del sistema reale, in un certo numero di condizioni operative che non comportino il raggiungimento delle ipotesi su cui il modello è stato elaborato.

Processo di identificazione

Segnale di test: la sua selezione è di fondamentale importanza per il processo di identificazione. Esso deve:

- essere facile da generare;

- essere abbastanza grande da produrre una risposta con elevato rapporto segnale/rumore;

- essere tale da minimizzare il tempo richiesto dal processo di identificazione e dare luogo ad un’identificazione conveniente ed accurata.

La determinazione della struttura del modello può in generale essere effettuata secondo due differenti approcci:

- il primo approccio prevede che tale struttura venga determinata in base alle conoscenze a priori;

- il secondo tipo di approccio è relativo alla determinazione della struttura del modello a posteriori.

Identificabilità a priori: riguarda la possibilità di stimare in modo univoco tutti i parametri di un modello di struttura assegnata da un esperimento ingresso-uscita supposto ideale.

Ci sono tre casi:

- tutti i parametri risultano identificabili e si può quindi procedere ad un effettivo procedimento di stima dei parametri;

- una parte di parametri risultano identificabili mentre per altri si possono avere più valori compatibili con i dati. Il modello viene rigettato se non si hanno conoscenze a priori che permettono di definire univocamente i parametri;

- alcuni parametri possono avere un numero infinito di valori, in tal caso il modello va rigettato e la struttura del modello e/o il tipo di esperimento vanno modificati.

Stima dei parametri

Una volta verificata l'identificabilità a priori dei parametri del modello si passa alla stima dei parametri.

Tali dati sono ovviamente affetti da errori con origine di varia natura: imperfezione del segnale di test, errori di misura, influenza di segnali diversi, errore di modello.

È necessario avere una descrizione statistica degli errori.

Processo di validazione

Il processo di validazione di un modello è la verifica che il modello sia ben fondato, trattabile e adeguato agli scopi per cui è stato formulato. Esso si basa sui criteri di validità, che sono:

- criteri interni

- criteri esterni

Criteri interni: fanno riferimento a condizioni che riguardano il modello in sé senza un riferimento esterno. Essi si possono considerare come condizioni necessarie di validità e riguardano:

- la consistenza: il modello non deve contenere contraddizioni logiche, matematiche o concettuali. Essa verifica il livello della formulazione concettuale e matematica del modello stesso;

- validità algoritmica: l'algoritmo per la soluzione o simulazione deve essere appropriato e portare a soluzioni appropriate. Essa verifica la soluzione del modello.

Criteri esterni: si riferiscono ad aspetti esterni al modello e sono sostanzialmente quattro:

- validità empirica: riguarda la corrispondenza del modello ai dati sperimentali;

- validità teorica: fa riferimento alla consistenza del modello con teorie e modelli già accettati in letteratura;

- validità pragmatica: è rilevante principalmente nel caso di modelli predittivi e/o clinici;

- validità euristica: tiene conto della validità del modello dal punto di vista interpretativo.

I test servono alla validazione dei modelli, quelli più comuni sono:

- identificabilità: il modello dev’essere unicamente identificabile;

- accuratezza della stima: fornisce un'indicazione sull'accuratezza delle stime dei parametri;

- bontà del fitting: è la capacità di un modello di riprodurre adeguatamente i dati sperimentali disponibili;

- proprietà statistiche dei residui: è un test relativo all'esame delle proprietà statistiche degli errori residui.

- plausibilità: è la corrispondenza con tutte le informazioni teoriche ed empiriche che non sono state direttamente utilizzate nella formulazione ed identificazione del modello.

Modelli a compartimento

Compartimento: quantità di sostanza che si comporta in maniera caratteristica ed omogenea dal punto di vista della cinetica, intendendo con la parola cinetica sia fenomeni di puro trasporto sia fenomeni di trasformazione.

Nella formulazione del modello matematico il sistema deve quindi essere suddiviso in un certo numero di compartimenti e devono poi essere scritte le equazioni del bilancio di massa per ciascun compartimento e le relazioni che descrivono i flussi fra i compartimenti.

I modelli compartimentali sono modelli deterministici.

Diversi processi possono essere rappresentati con modelli a compartimenti:

- processi di trasformazione;

- processi di trasporto:

1) diffusione: la sostanza si trasferisce da zone ad alta concentrazione a zone a bassa concentrazione ed il flusso di sostanza per unità di area è proporzionale al gradiente;

2) trasporto attraverso il sangue: il sangue viene considerato come un compartimento in cui la concentrazione della sostanza è praticamente uniforme.

I processi rappresentabili con modelli compartimentali soddisfano spesso condizioni di costanza delle caratteristiche geometriche e delle proprietà chimiche e fisiche, ciò si traduce in termini matematici nella costanza dei parametri delle equazioni considerate. Tali proprietà possono variare sotto l'influenza di variabili esterne, dette variabili di controllo e sono in generale rappresentate come una modulazione dei parametri.

Stato stazionario: si ha quando il livello delle quantità di materiale presente nei vari compartimenti si mantiene costante.

Modello SIR

Questo modello è il più semplice dei modelli compartimentali ed è molto utile per descrivere epidemie che evolvono rapidamente. Il modello si basa sulle seguenti tre variabili:

- S(t) è il numero di suscettibili (la parte di popolazione predisposta a contrarre l’infezione) al tempo t.

- I(t) è il numero di infettivi (la parte di popolazione che ha contratto l’infezione e la può trasmettere) al tempo t.

- R(t) è il numero di rimossi (guariti o deceduti) al tempo t.

tasso di contagio

tasso di rimozione

numero medio di infettivi prodotti da un infettivo (definito all’inizio dell’infezione).

numero medio di infettivi prodotti da un infettivo (definito in un momento qualsiasi dell’infezione)

numero medio di contatti adeguati di un infettivo in un momento qualsiasi dell’infezione.

   

ll modello SIDARTHE

Un modello più complesso e sviluppato proprio per modellare le specifiche caratteristiche del virus Sars-CoV-2 è il modello SIDARTHE. Questo modello prevede che il compartimento degli infetti sia suddiviso in 4 compartimenti distinguendo i soggetti asintomatici da quelli che manifestano sintomi e quelli diagnosticati da quelli non diagnosticati (tampone si/no). Inoltre è stato aggiunto il compartimento dei «malati gravi», quelli ricoverati in terapia intensiva.

Modelli matematici in biomedicina

I modelli matematici in biomedicina sono:

- modello anatomo-fisiologico: presenta una corrispondenza completa con la struttura ed i parametri anatomo-fisiologici del sistema in esame.

- modello artificiale: fa una descrizione matematica di apparati artificiali che sono costruiti dall’uomo e che hanno un funzionamento simile a quello del sistema biologico in esame.

Settori di applicazione della modellistica biologica

- ricerca medico biologica: il modello permette di osservare il comportamento di variabili non direttamente accessibili alla misura, di verificare ipotesi, di predire il comportamento del sistema oggetto di indagine.

- clinica: applicazioni diagnostiche e terapeutiche.

Modelli del sistema cardiovascolare

La caratterizzazione del sistema cardiovascolare si può effettuare per mezzo di tre elementi fondamentali: il sangue, la pompa (il cuore) e l’insieme dei vasi che formano il circuito.

Il sangue si comporta come un liquido non newtoniano, cioè a viscosità non costante, in quanto questa diminuisce con l’aumentare della velocità e con la riduzione del diametro dei vasi.

Modello Windkessel (camera d’aria): è un modello che confronta l’elasticità delle grandi arterie con l'effetto Windkessel usato nelle apparecchiature usate dai pompieri.

I due sistemi (circolazione arteriosa e pompe per lo spegnimento di incendi) sono basati su:

- un sistema di pompaggio

- una valvola monodirezionale

- un elemento elastico (aria contenuta in un contenitore rigido o sacco elastico), il cui scopo è quello di limitare le oscillazioni della pressione

- una resistenza di uscita.

L'effetto Windkessel è proprio quel fenomeno fisiologico che permette di modificare il flusso discontinuo della gittata cardiaca in un flusso più continuo.

Primo modello Windkessel: lanalogo elettrico è un modello a due elementi, composto da una resistenza e da una capacità.

Di seguito l’analogia con la teoria dei circuiti elettrici :

• pressione → tensione

• flusso/portata → intensità di corrente

• capacità → compliance (proprietà elastiche dei vasi)

• induttanza → inertanza

• resistenza elettrica → resistenza meccanica (della circolazione arteriosa sistemica)

• impedenza elettrica → impedenza meccanica

Funzionamento modello Windkessel semplice

Il serbatoio riceve il sangue dalla valvola aortica in maniera pulsatile, quest'ultimo in seguito fluisce nel sistema formato da arteriole e capillari (rappresentati da una resistenza vascolare equivalente). Gli effetti elastico e resistivo vengono quindi considerati contemporaneamente per spiegare il comportamento dinamico del carico cardiaco o gli spostamenti di volumi di fluido da un distretto ad un altro.

L'analogo elettrico di questo sistema viene rappresentato con il parallelo tra una capacità ed una resistenza. In questo modello l’ingresso è la portata Q e l’uscita è la pressione P. Nello specifico, nell’analogia elettrica il tratto arterioso viene rappresentato con il modello elettrico, in cui R è la resistenza di Poiseuille mentre C è la complianza. 

Questo modello semplice presenta dei limiti significativi legati a delle semplificazioni fatte per poter più facilmente creare il modello stesso.

Il modello a due elementi imita il comportamento dell’albero arterioso a basse frequenze ma non riesce a rappresentare correttamente le sue proprietà alle alte frequenze.

Modello Windkessel a tre elementi

È dato dal modello a due elementi a cui viene aggiunto una resistenza Rc (resistenza caratteristica rappresentante le proprietà aortiche).

Seppure il modello a tre elementi rappresenti un miglioramento rispetto al modello a due elementi, esso presenta comunque incongruenze con ciò che accade realmente.

Infatti, l'andamento delle forme d'onda non tiene conto delle oscillazioni presenti nell'impedenza d'ingresso aortica: questo aspetto non viene tenuto in considerazione nel modello. Per questo, i dettagli caratteristici del comportamento dell'impedenza ad alte frequenze, non possono essere descritti.

Modello Windkessel a quattro elementi

Al modello a tre elementi è stata aggiunta una inertanza che rappresenta l'analogo elettrico della induttanza ed è legata all'inerzia del sangue, che avendo una sua massa, si oppone alle variazioni di flusso. Anche per questo modello come per i precedenti, l’ingresso è la portata cardiaca e l’uscita è la pressione aortica.

Alle basse frequenze, il circuito diventa analogo al modello Windkessel a tre elementi. Alle alte frequenze, l’impedenza non avrà un valore finito. Nonostante venga meno l’aderenza alla fisiologia del sistema, questo non è un vero problema in quanto la frequenza a cui sarà sottoposto il modello non sarà mai troppo alta essendo appunto fisiologica.

Con l’inertanza in serie a Rc è più adatto a rappresentare l’impedenza d’ingresso aortica nei bambini e ha tutti i parametri identificabili con il metodo della funzione di trasferimento.

Con l’inertanza in parallelo a Rc non risulta identificabile, ma il problema viene superato attraverso diverse modalità di identificazione.

La misura

Informazione costituita da:

• un numero;

• un’incertezza (o errore): è la differenza tra il risultato di una misura e il valore vero cercato. Gli errori si possono ridurre ma non eliminare da una misura;

• un’unità di misura assegnata a rappresentare un parametro in un determinato stato del sistema. che deve sempre essere espressa.

Misurazione: insieme di operazioni che portano alla determinazione del valore del misurando, cioè della grandezza da misurare.

Misurando: deve essere definito con sufficiente completezza, rispetto all’accuratezza richiesta, affinché il valore associato con la sua misurazione sia unico.

Misura: valore del misurando ottenuto in seguito ad una misurazione.

Valore vero: è il valore che si otterrebbe con una misurazione perfetta, pertanto non determinabile.

Risultato di una misurazione: valore del misurando (approssimato/stimato) dopo la misurazione.

La misura può essere:

- diretta: se la misura è ottenuta mediante l’uso di uno strumento atto alla misurazione della grandezza X del misurando (es. T in °K)

- indiretta: se il risultato della misura è espresso in termini di valori di altre grandezze (es. area in m2).

L’incertezza della misura può essere causata da due tipi di errori:

- errori sistematici: sono dovuti a imperfezioni degli strumenti utilizzati o a imprecisioni della procedura di misura. Avvengono sempre per eccesso o sempre per difetto. Non possono essere eliminati ma possono essere ridotti.

- errori casuali: variano in modo imprevedibile da una misura all’altra e influenzano il risultato a volte per eccesso e a volte per difetto. Possono essere causati sia da imprecisioni dello sperimentatore sia dello strumento.

Gli errori casuali sono dovuti ad un numero elevato di fattori per i quali non è possibile un'analisi puntuale. Sebbene non sia possibile compensare completamente gli errori casuali il loro effetto può essere ridotto aumentando il numero di osservazioni e calcolando la media aritmetica di un numero sufficientemente alto di misure.

Errore relativo: rapporto tra incertezza della misura e il valore medio della misura.

Misure biomediche

Esse oltre a essere differenziate tra misure dirette ed indirette, una ulteriore classificazione delle misure biomediche è:

- misura non invasiva: una misura che riesce a prelevare il segnale sorgente (ossia dal paziente) senza causare trauma, lesioni o particolari alterazioni dei parametri vitali;

- misura invasiva: una misura per cui non sono verificate le condizioni sopra menzionate.

Inoltre possiamo classificare misure in ambito diagnostico come:

- misura attiva: una misura per cui lo stesso strumento che emette un segnale provvederà poi anche ad elaborarlo;

- misura passiva: una misura per cui l’origine del segnale che deve essere elaborato deriva in modo spontaneo e diretto dall’organismo.

Scopi della misura biomedica

Una misura biomedica generalmente è fatta per uno dei seguenti scopi:

- diagnostico/prognostico: misurazione del valore di una grandezza e delle sue variazioni;

- fisiologico: misurazione atta alla migliore comprensione di un processo;

- terapeutico: misurazione fatta al fine di controllare un determinato processo.

Strumenti di misura

Possiamo schematizzare un generico strumento di misura con tre elementi fondamentali:

1- sensore: elemento che raccoglie l’informazione

2 - trasduttore: trasforma l’informazione in maniera utilizzabile dallo sperimentatore

3 - dispositivo: fornisce visivamente o graficamente il risultato

Essi si dividono in:

- analogici: in cui il valore della misura si legge su una scala graduata

- digitali: in cui il valore della misura appare come una sequenza di cifre

Possiamo dividere le caratteristiche di uno strumento di misura in:

- statiche: descrivono le prestazioni di uno strumento di misura per ingressi costanti o lentamente variabili nel tempo. Valutano la qualità di una misura.

- dinamiche: descrivono le prestazioni di uno strumento di misura per ingressi che variano rapidamente nel tempo.

Caratteristiche statiche:

- portata: è il più grande valore della grandezza che lo strumento può misurare.

- prontezza: indica la rapidità con cui esso risponde ad una variazione della quantità da misurare;

- sensibilità: è il più piccolo valore della grandezza che lo strumento riesce ad apprezzare;

- il campo di misura: è il massimo intervallo di valori (ossia la differenza tra la misura massima e la misura minima) entro cui lo strumento è in grado di misurare la grandezza d’ingresso;

- controllo statistico: assicura che le variazioni casuali introdotte da tutti i fattori che influenzano il processo di misura siano tollerabili;

- tolleranza agli errori statistici: analisi statistica per stimare le variazioni dell’errore e garantire che le variazioni casuali sulle misure, prodotte da tutti i fattori, siano tollerabili;

- riduzione degli errori statistici: misure multiple e loro media;

- precisione: indica quanto vicini o quanto ripetibili siano i risultati;

- accuratezza: indica quanto una misura è vicina al valore vero. È il rapporto tra la differenza tra i valori vero e misurato e il valore vero;

- risoluzione: esprime il grado con cui due valori prossimi della grandezza in ingresso possono essere discriminati (si riferisce all’intero intervallo di misurazione);

- ripetibilità: è il grado di vicinanza tra successivi risultati ottenuti con lo stesso metodo sotto le stesse condizioni ed in un breve intervallo di tempo;

- riproducibilità: capacità di uno strumento di fornire la stessa lettura a seguito di misure ripetute in diverse condizioni;

- taratura: è un’operazione che permette di definire le caratteristiche metrologiche di uno strumento, allo scopo di stabilirne la precisione, tramite il confronto con uno strumento di riferimento definito campione. È effettuata da un ente certificato;

- calibrazione: è un procedimento che ha lo scopo di rendere lo strumento di misurazione in questione più accurato (affinché le deviazioni di misura siano le più piccole possibile e non superino i limiti di errore).

Caratteristiche dinamiche

Esse descrivono le prestazioni di uno strumento di misura per ingressi che variano rapidamente nel tempo, che vengono rappresentate attraverso equazioni differenziali.

Gli strumenti di misura più comuni sono descritti da equazioni differenziali di ordine zero, primo e secondo.

La soluzione dell’equazione differenziale dipende dal tipo di segnale d’ingresso, quindi:

per ingressi di tipo transiente si usa il segnale a gradino.

per ingressi di tipo periodico si usa un segnale sinusoidale.

per ingressi casuali si usa il rumore bianco a banda limitata

Funzione di trasferimento

La funzione di trasferimento è una funzione matematica che esprime la relazione tra

segnale di uscita y(t) e segnale di ingresso x(t) dello strumento.

Nota la funzione di trasferimento, per qualsiasi segnale di ingresso si può determinare

l’uscita del sistema.

Sistemi di ordine zero

Uno strumento di ordine zero è teoricamente perfetto in quanto il segnale d’uscita riproduce fedelmente il segnale d’ingresso (a meno di una costante moltiplicativa).

Strumentazione biomedica

Dispositivo medico: uno strumento, un apparato, un arnese, una macchina, un’invenzione, un reagente in vitro o un altro oggetto similare o correlato, compreso ciascun componente, ciascuna parte o ciascun accessorio per il quale è previsto l’uso in medicina.

Uno strumento biomedico può essere classificato in base al suo utilizzo in:

- diagnostico: estensione dei sensi umani;

- terapeutico-riabilitativo: ripristino di funzioni fisiologiche, organi artificiali e protesi.

- clinico: semplice da usare, buona precisione, alta affidabilità, numero limitato di funzioni;

- ricerca: alta versatilità, elevata precisione, sufficiente/bassa affidabilità, di tipo aperto (a controllo completo), espandibile.

Inoltre gli strumenti biomedici possono essere classificati in base a:

- grandezza misurata: con questa classificazione si possono confrontare facilmente metodi differenti che misurano la stessa grandezza;

- principio di trasduzione: questo sistema ci può aiutare a capire meglio ciascun principio di trasduzione mostrandone le diverse applicazioni;

- tipo di organo/sistema: questa classificazione permette di individuare tutti gli strumenti importanti per gli specialisti che operano in una determinata area;

- disciplina clinica: questo tipo di classificazione è utile soprattutto al personale medico interessato solo alla strumentazione limitata ad un ambito specialistico.

Infine può essere fatta una divisione in base al tipo di segnale rilevato:

1) elettrici, rilevati tramite elettrodi sulla cute o invasivi;

2) non elettrici, rilevati tramite sensori (meccanici, chimici, termici ecc.);

Elementi fondamentali per gli strumenti di misura biomedica

I tre elementi fondamentali per gli strumenti di misura biomedica sono:

1) sensore/trasduttore: converte una grandezza fisica in un segnale elettrico. Esso

deve:

- rispondere unicamente alla forma di energia presente nel misurando,

- essere biocompatibile,

- essere il meno invasivo possibile.

2) blocco di condizionamento del segnale: elabora il segnale ricevuto dal sensore. Il blocco di condizionamento può includere unicamente l’amplificazione ed il filtraggio del segnale, o semplicemente adattare l’impedenza del sensore al dispositivo di visualizzazione. Nei sistemi moderni esso include anche un convertitore analogico-digitale, ma qualora questo non fosse incluso dovrebbe essere considerato come il quarto elemento fondamentale degli strumenti di misura.

3) dispositivo di visualizzazione: presenta il risultato della misurazione.

Elementi ausiliari per gli strumenti di misura biomedica

Elemento per la calibrazione del sistema: genera un segnale di calibrazione con proprietà simili a quello del misurando e lo applica in ingresso ai sensori o all’ingresso della catena di manipolazione del segnale.

Elemento di controllo e retroazione: è a volte necessario per stimolare la sorgente a produrre il misurando, per dirigere il flusso di informazioni ai dispositivi di visualizzazione, memorizzazione e trasmissione.

Elemento di memorizzazione: memorizza temporaneamente una parte di segnale utilizzata per determinate elaborazioni.

Elemento di trasmissione: trasmette i dati acquisiti a dispositivi remoti utilizzati per le successive elaborazioni dei dati stessi.

Sensore e trasduttore

Sensore: è l’elemento sensibile ad una grandezza fisica ed in grado di trasformarla in un segnale misurabile.

Trasduttore: componente che ha lo scopo di convertire la variabile da misurare in una forma di energia più facile da elaborare (solitamente un segnale elettrico). Possiamo quindi vedere il trasduttore come l’insieme di un sensore e di un circuito di condizionamento.

Il sensore rispetto al trasduttore è sempre un elemento iniziale della catena di misura, mentre il trasduttore è un sensore che non si trova al primo posto nella catena di misura.

Classificazione dei sensori/trasduttori

Due sono le principali classificazioni che si possono fare per i sensori/trasduttori biomedici. Il primo criterio di classificazione dei trasduttori è basato sul tipo di grandezza elettrica prodotta in uscita.

Trasduttori passivi: sono quelli che producono in uscita un segnale elettrico passivo (resistenza, capacità ecc.)

Trasduttori attivi: sono quelli che forniscono in uscita un segnale elettrico attivo (corrente o tensione).

Un secondo criterio di classificazione è in base al principio fisico di trasduzione:

- sensori resistivi ;

- sensori capacitivi ;

- sensori induttivi;

- sensori termoelettrici ecc.

Sensori resistivi: convertono la grandezza da misurare in una variazione di resistenza secondo la seconda legge di Ohm:          

ρ = resistività             l = lunghezza del materiale        A = area sezione trasversale del materiale

La variazione di resistenza può essere indotta da:

• variazioni di geometria (come negli estensimetri)

• variazioni di temperatura (come nei termistori). Questo perché generalmente la

resistività dei materiali utilizzati dipende dalla temperatura:     

Sensori capacitivi: convertono la grandezza da misurare in una variazione di capacità. Considerando un condensatore a facce piane parallele:    

ϵ= costante dielettrica           A = area delle facce               d = distanza tra le facce

La variazione di capacità può essere indotta da:

- variazioni di posizione relativa dei piatti (sfruttato in alcuni sensori di posizione)

- variazioni della costante dielettrica ϵ.

Sensori induttivi a singolo avvolgimento: convertono la grandezza da misurare in una variazione di induttanza, che può essere indotta dalla variazione di posizione relativa del nucleo rispetto alle spire.

Sensori termoelettrici: generazione di una differenza di potenziale ai capi di una giunzione costituita da due metalli diversi nel caso in cui il punto di giunzione (giunzione calda) si trovi ad una temperatura diversa rispetto alle estremità libere (giunzione fredda) (effetto Seebeck):         = coefficiente di temperatura

Il trasduttore più conosciuto che sfrutta questo fenomeno fisico è la termocoppia.

Per il sensore biomedico il settore a cui esso deve essere applicato è rappresentato dalla specialità medica di interesse (pediatrica ecc.)

Caratteristiche dei sensori

Le caratteristiche richieste per un sensore sono:

- caratteristiche esterne: ossia relative a forma, dimensione, biocompatibilità etc..

- caratteristiche interne: ossia quelle che riguardano la forma che il segnale assume nei vari stadi del sistema, il rumore, la linearità della risposta, le caratteristiche statiche e dinamiche specifiche dei sensori, etc..

Materiali biocompatibili: sono quei materiali che non arrecano danni ai sistemi biologici e che non sono danneggiati dopo la loro inserzione all’interno di un organismo biologico.

Le caratteristiche di un sensore sono:

- statiche = descrivono le prestazioni del sensore in condizioni normali, ovvero con variazioni lente dell’ingresso;

- dinamiche = descrivono il comportamento del sensore alle variazioni dell’ingresso nel tempo;

- ambientali = descrivono le prestazioni del sensore dopo o durante l’esposizione a sollecitazioni esterne;

- di affidabilità = descrivono le prestazioni di durata e resistenza del sensore.

Caratteristiche statiche di un sensore:

- fondo scala d’ingresso = indica il range di valori in cui l’ingresso può essere convertito da un sensore;

- fondo scala di uscita = rappresenta la differenza algebrica tra il segnale elettrico di uscita ottenuto quando lo stimolo di ingresso è massimo e il segnale elettrico di uscita ottenuto quando lo stimolo di ingresso è minimo;

- linearità = indica la vicinanza della curva di calibrazione del sensore ad una retta specificata (espressa come percentuale del fondo scala di uscita);

- isteresi = quantifica la presenza di un effetto di "memoria" del sensore la cui uscita, a parità di valore del misurando, potrebbe essere influenzata dalla precedente condizione operativa. È la differenza tra i due valori di uscita che si ottengono quando il segnale viene fatto variare in modo da raggiungere il valore desiderato partendo una volta dall’estremo inferiore campo misura e una volta da quello superiore;

- offset = è il valore di uscita che ottengo quando il misurando ha un valore nullo;

- full-scale input = indica il valore massimo del misurando;

- sensibilità (o guadagno) di un sensore = è il rapporto tra la variazione della grandezza d’uscita e la variazione di quella d’ingresso.

Un sensore ideale presenterà in uscita sempre il valore “ vero” della grandezza rilevata e seguirà esattamente la curva teorica o ideale che relaziona ingresso ed uscita nel suo range di funzionamento.

Il sensore reale ha un comportamento non ideale che produce una deviazione dell’uscita dal valore “vero”. La differenza fra valore indicato e valore “vero” rappresenta l’errore del sensore variabile da punto a punto.

Caratteristiche dinamiche di un sensore:

- tempo di risposta = intervallo di tempo affinché l’uscita raggiunga una certa percentuale del suo valore finale;

- tempo di salita = è il tempo necessario affinché l’uscita vada da un valore prefissato ad uno maggiore;

- costante di tempo (τ) = è il tempo necessario affinché l’uscita raggiunga il 63% del valore finale.

Caratteristiche ambientali dei sensori

- Errore di temperatura: rappresenta la massima variazione dell’uscita determinata da una variazione di temperatura

- Errore di pressione: rappresenta la massima variazione dell’uscita determinata da una variazione di pressione.

Caratteristiche di affidabilità dei sensori

- Affidabilità: è la capacità del sensore di espletare la funzione per cui è stato costruito in condizioni prestabilite e per un tempo fissato.

- Tempo di vita: intervallo che si misura in tempo oppure in “cicli operativi” ed indica quanto a lungo il trasduttore opera senza discostarsi in modo significativo dalle caratteristiche metrologiche mostrate durante la taratura iniziale.

Sensori integrati

Array di sensori = sensori integrati costituiti da tante unità (uguali o molto simili) con la stessa (o molto simile) funzione.

Multisensori = costituiti da diversi elementi (sensori) ognuno avente diverse funzioni.

Sensori multifunzione = singolo dispositivo che può realizzare diverse funzioni sotto diverse condizioni.

Integrazione tra sensori e unità di condizionamento

Primo livello: bilanciamento dell’offset, ecc.

Secondo livello: amplificazione e conversione del segnale

Terzo livello: incorpora un microprocessore ed una memoria per lo svolgimento di diverse funzioni.

Sensori resistivi

I sensori resistivi usati in biomedicina sono: gli estensimetri ed i sensori resistivi di temperatura.

Estensimetro

Estensimetro: è un sensore in cui la deformazione elastica subita da un elemento metallico o da un semiconduttore si riflette nella variazione della resistenza dell'elemento.

L’unico tipo di estensimetro che vediamo è il filo metallico teso.

Filo metallico teso

Un sottile filo metallico conduttore viene vincolato, in tensione, alla struttura di cui si desidera misurare la deformazione mediante dei supporti isolanti.

Il principio di funzionamento di un estensimetro è la variazione di resistenza di un conduttore o di un semiconduttore sottoposto ad uno sforzo meccanico.

Uno sforzo meccanico longitudinale produce una variazione di resistenza che dipende da una variazione di resistività, lunghezza e sezione.

Un filo resistivo sottoposto ad una sollecitazione longitudinale varia però sia la sua lunghezza che la sua dimensione trasversale t. 

Effetto piezoresistivo = variazione di resistività (ρ) in seguito ad uno sforzo meccanico

Tutte queste caratteristiche sono importanti per la seconda legge di Ohm:    R = ρ L/A

L = lunghezza del conduttore                     A = area della sua sezione

Fattore di Gauge: è un fattore di trasduzione utile per confrontare differenti materiali per estensimetri (ossia per valutarne la sensibilità).

Calcolo del fattore di Gauge:   

Acquisizione del segnale estensiometrico

Ponte di Wheatstone : è un dispositivo utilizzato per misurare una piccola variazione di resistenza elettrica, risulta formato da un parallelo tra un partitore di tensione che incorpora il sensore e un secondo partitore di tensione (quattro resistenze connesse in modo da realizzare una maglia con quattro lati e quattro vertici). Tra due vertici opposti viene collegata una sorgente di alimentazione, mentre tra gli altri due viene solitamente inserito un voltmetro.

Nella quasi la totalità dei casi si utilizza una configurazione a ponte di Wheatstone con le resistenze di riferimento 1,2,3 sono tutte di egual valore R e la resistenza di misura (estensimetro) Rg.

L’equazione del circuito vale:      

La sensibilità della misura si può migliorare mettendo gli estensimetri in modo che siano deformati simmetricamente a coppie.

Nel caso di due estensimetri sollecitati l’uscita del sensore vale:    

Il caso ottimale si ha utilizzando quattro estensimetri. In tal caso l’uscita del sensore vale:

Sensori resistivi di temperatura

Sensori resistivi di temperatura: sfruttano la proprietà del materiale di variare la conducibilità elettrica con la temperatura.

Per questi sensori i principali criteri per la scelta dei materiali sono la sensibilità e la linearità. I materiali utilizzati sono:

- conduttori: che vengono indicati con il termine termoresistenze 

- semiconduttori: che vengono indicati col termine di termistori.

Termoresistenze

Termoresistenze: sfruttano la proprietà dei conduttori di variare la conducibilità elettrica con la temperatura.

La resistenza di una termoresistenza è data da:

          = coefficiente di temperatura

Termistori

Termistori: sfruttano le proprietà dei semiconduttori di variare la conducibilità elettrica con la temperatura. Essi reagiscono a un cambiamento di temperatura modificando il proprio valore di resistenza. Essi si dividono in:

termistori NTC: in cui la resistenza diminuisce all’aumentare della temperatura. Funzionano tra 100-500°C e vengono usati per misurare la temperatura;

termistori PTC; in cui la resistenza cresce all’aumentare della temperatura. Sono usati in applicazioni di termoregolazione.

Termistori NTC

Nei sensori NTC, la dipendenza della resistenza dalla temperatura può essere considerata esponenziale.

R0 = resistenza a 25°

T0 = 273 + 25 = 298 K

B (o β) = temperatura caratteristica del materiale

La sensibilità del termistore è data da:

S =

Termocoppie

Termocoppia: è costituita da due conduttori differenti (materiali diversi) di materiale noto che si uniscono in un punto in prossimità del quale viene effettuata la misura di temperatura, mentre gli altri due estremi sono collegati ad un voltmetro. Le termocoppie sfruttano l’effetto Seebeck.

Effetto Seebeck: effetto termoelettrico consistente nella generazione di una corrente (e di conseguenza di una differenza di potenziale) in un circuito costituito da due materiali differenti (A e B) e in cui le due giunzioni tra di essi siano mantenute a due distinte temperature.

Le termocoppie possono essere suddivise in due gruppi fondamentali:

- a metallo nobile = sono più costose ma stabili e presentano coefficiente di Seebeck basso

- a metallo vile = presentano un coefficiente di Seebeck più elevato rispetto alle prime.

Per l’effetto Seebeck, la tensione tra i due fili al giunto freddo è proporzionale alla differenza di temperatura tra le giunzioni.

Coefficiente di Seebeck (S): indica quanto un materiale sia capace di rispondere con una variazione di potenziale ad un gradiente di temperatura.

La sensibilità della termocoppia è data da:

Dettaglio strumento di misura

Front-end: è responsabile dell'acquisizione dei dati di ingresso e della loro elaborazione con modalità conformi a specifiche predefinite e invarianti. Esso può essere:

- analogico

- digitale

Front-end analogico

Compie le seguenti attività:

- amplificazione: amplifica nella modalità più corretta il segnale proveniente dal sensore in modo da generare una tensione proporzionale alla misura;

- filtraggio: elimina il rumore e risolve i problemi di aliasing. Dipende fortemente dalla banda passante della grandezza che voglio misurare e da quella del sensore;

- isolamento: protegge il paziente da eventuali micro o macro shock.

Amplificatore operazionale (AO)

L’AO è un circuito integrato costituito da più circuiti (resistenze e/o capacità ecc.)

Esso:

- è un amplificatore perché amplifica o riduce un segnale in ingresso prodotto dal sensore;

- è detto operazionale perché è in grado di compiere molte operazioni matematiche.

Le tipologie di amplificatori che vediamo sono:

  • amplificatore invertente ideale

  • amplificatore invertente reale

  • amplificatore non invertente ideale

  • amplificatore differenziale

Amplificatore operazionale ideale

Nell’analisi semplificata si considera l’amplificatore operazionale ideale per cui valgono le seguenti approssimazioni:

  • Impedenza di ingresso infinita

  • Impedenza di uscita nulla

  • Guadagno differenziale (ad anello aperto) A infinito

  • Guadagno di modo comune (Ac) nullo

  • Rapporto di reiezione di modo comune (CMRR) infinito

Tensione differenziale:

Tensione di modo comune:

Guadagno di modo comune:

Guadagno differenziale a circuito aperto:

Rapporto di reiezione di modo comune:

Impedire all’AO ideale ad anello aperto di saturare è impossibile.

Per mantenere l’AO ideale in zona lineare si aggiunge una rete di retroazione.

Un amplificatore è soggetto a reazione quando una parte del segnale d’uscita viene riportato in ingresso e sommato algebricamente al segnale d’ingresso.

In un amplificatore retroazionato è presente una rete B di retroazione che riporta in ingresso una parte del segnale d’uscita, e il segnale retroazionato si somma algebricamente al segnale d’ingresso.

Lo schema generale di un amplificatore in retroazione può essere rappresentato nel modo seguente:

Con la retroazione in un un amplificatore ideale si tende quindi a portare l’ingresso invertente allo stesso potenziale dell’ingresso non invertente.

+ = ingresso non invertente ed è posto a massa

- = è l’ingresso invertente ed è posto a massa virtuale 

Massa virtuale = è un nodo (ovvero un punto) di un circuito che ha lo stesso potenziale dell’ingresso non invertente (ma riceve una tensione) per effetto della retroazione.

Massa = è un nodo del circuito che non riceve tensione

Un amplificatore operazionale ideale può essere quindi rappresentato come un doppio bipolo per il quale:

• la tensione e la corrente della porta di ingresso sono entrambe nulle

• la tensione e la corrente della porta di uscita possono assumere entrambe valori arbitrari

L’ingresso invertente e l’ingresso non invertente sono sempre allo stesso potenziale, come se fossero collegati tra loro da un cortocircuito (cortocircuito virtuale).

Teorema di non amplificazione: un circuito non può produrre in uscita più energia di quanta non riceva dalle alimentazioni. L’energia in uscita ( è sempre più bassa dell’energia di alimentazione.

Tensione di saturazione (Vsat): è il valore massimo di tensione in uscita dall'operazionale.

In realtà le tensioni di saturazione sono due:

  • la saturazione positiva +Vsat

  • la saturazione negativa –Vsat

che possono anche assumere due valori diversi nel caso che le alimentazioni positiva e negativa dell'operazionale non siano uguali.

Tensione di offset (VOS): differenza di potenziale che viene applicata negli AO per poter poi ottenere in uscita una tensione nulla.

Amplificatore invertente ideale

Nell’analisi semplificata si considera l’amplificatore invertente ideale per cui valgono le seguenti approssimazioni:

  • Impedenza di ingresso infinita

  • Impedenza di uscita nulla

  • Guadagno differenziale (ad anello aperto) A infinito

  • Guadagno di modo comune (Ac) nullo

  • Rapporto di reiezione di modo comune (CMRR) infinito

In questa configurazione si ha che:

- la tensione di ingresso (Vin) viene applicata sull’ingresso invertente (V1)

- il segnale viene mandato sull’ingresso invertente tramite una resistenza Ri

- l’ingresso non invertente (V2) viene collegato a massa e non ha una tensione applicata

- il segnale d’uscita viene rimandato sull’ingresso invertente tramite una resistenza R0 

Nella sua configurazione ideale abbiamo:

IB1 = 0

IB2 = 0

V2 = IB2R = 0

V1 = V2 = 0

ATTENZIONE: in tutti gli esercizi viene sempre usata

Dopo alcuni calcoli arriviamo a:

quindi il guadagno di tensione sarà:

    o 

Quindi:

• se Rout > Ri il guadagno è in valore assoluto maggiore di 1 quindi abbiamo amplificazione (l’ampiezza del segnale d’uscita è maggiore dell’ampiezza del segnale di ingresso)

• se Ri > Rout, il guadagno è in valore assoluto minore di 1 quindi abbiamo attenuazione (l’ampiezza del segnale d’uscita è minore dell’ampiezza del segnale di ingresso)

Amplificatore invertente reale

Consideriamo ora l’amplificazione A grande ma non più infinita e vediamo come cambia il guadagno.

Abbiamo che:            A = amplificazione = guadagno

Amplificatore non invertente ideale

Nell’approssimazione di AO non invertente abbiamo:

- la tensione di ingresso (Vin) viene applicata sull’ingresso non invertente (V2)

- Ib2 = 0

- A =  

Si ha:  

Guadagno amplificatore non inverte ideale:

Riassumendo le differenze tra amplificatore invertente e non invertente:

nell’invertente il segnale di ingresso è applicato al morsetto “meno”, mentre nel non invertente il segnale di ingresso è applicato al morsetto “più”.

• nell’invertente ci può essere amplificazione oppure attenuazione (a seconda di come si scelgono le due resistenze), mentre nel non invertente c’è amplificazione

• nell’invertente l’uscita è ribaltata rispetto all’asse orizzontale, rispetto al segnale di ingresso, mentre nel non invertente i due segnali sono in fase.

Inseguitore di tensione

Inseguitore di tensione o buffer: è una terza configurazione semplice di AO. Si tratta di un caso semplice di amplificatore non invertente in cui:

• la resistenza tra ingresso invertente e uscita è nulla (cortocircuito)

• la resistenza tra ingresso invertente e massa è infinita (circuito aperto)

Nell’approssimazione di AO ideale poiché all'ingresso non invertente è presente il potenziale Vi, possiamo affermare che anche all'ingresso invertente è presente il potenziale Vi. Ma l'ingresso invertente è direttamente collegato all'uscita e, quindi, anche l'uscita dovrà presentare il potenziale Vi. In definitiva si ha:  V0 = Vi

Quindi il guadagno ad anello chiuso è G = 1.

Amplificatore differenziale

Amplificatore differenziale: è la sovrapposizione di un invertente ed un non invertente. Ovvero, entrambi gli ingressi (V1 e V2) hanno una tensione di ingresso.

La tensione in uscita è la somma del contributo dei due amplificatori.

Dopo diversi calcoli, si arrivare a trovare la dell’amplificatore differenziale:

   ma con   

Sommatore invertente

La formula generale della di un sommatore invertente è:

Amplificatori per uso biomedico

Il corpo umano è essenzialmente un conduttore, e come tale è soggetto a differenze di potenziale più o meno rilevanti a seconda dell'ambiente dove si trova.

Ne consegue che per registrare un segnale di pochi microvolt è indispensabile adottare un approccio differenziale, per poter eliminare il potenziale al quale si trova il corpo (ossia la tensione di modo comune) dall’effettivo segnale di interesse (ossia la tensione differenziale). Nessuno degli AO visti finora è adatto a questo scopo.

Si ha quindi la necessità di adottare un dispositivo alternativo al nostro AO.

Per una serie di motivi, abbiamo bisogno di un CMRR più alto possibile.

L'approccio più utilizzato è quello di utilizzare una particolare forma circuitale chiamata Amplificatore Differenziale da Strumentazione che presenta un CMRR più vicino a valori accettabili e risolve il problema delle tensioni di offset.

Amplificatore Differenziale da Strumentazione

La struttura dell'amplificatore da strumentazione può pensarsi derivata dall'amplificatore differenziale rispetto al quale presenta due operazionali in più (buffer) che migliorano (aumentandola) l'impedenza di ingresso e permettono di variare l'amplificazione del segnale differenziale d'ingresso ( data da V1 - V2) variando un solo componente Rgain.

Analizzando l’amplificatore da strumentazione otteniamo una caratteristica di uscita descritta dalla seguente formula:

Inoltre, rispetto a un amplificatore differenziale con un solo operazionale si ha:

• un CMRR maggiore di quello del solo amplificatore operazionale

• una resistenza di ingresso maggiore (idealmente infinita)

• la possibilità di modificare il guadagno modificando il valore di una sola resistenza

Nonostante si riesca ad aumentare il CMRR questo non è ancora sufficiente per ottenere un segnale «pulito».

Filtraggio

Filtro: è un circuito che rimuove frequenze selezionate dal segnale di interesse.

Possiamo distinguere i filtri in due grandi categorie:

  • filtri analogici (elettronici): sono realizzati utilizzando circuiti elettronici attivi o passivi e operano su segnali continui;

  • filtri numerici (digitali): sono realizzati usando sia circuiti che algoritmi software ed operano su sequenze di numeri ottenute campionando i segnali continui.

Filtro ideale: non dovrebbe attenuare le frequenze desiderate, mentre l’attenuazione dovrebbe essere infinita per quelle indesiderate.

I tipi più comunemente usati di filtro sono:

passa-basso: elimina tutte le armoniche a frequenza alta e lascia passare quelle inferiori alla frequenza di taglio;

passa-alto: elimina le armoniche a frequenza bassa e lascia passare quelle al di sopra della frequenza di taglio;

passa-banda: elimina le armoniche inferiori e superiori ad una determinata banda di frequenze;

• arresta-banda

filtro a reiezione di banda/notch: elimina solamente le armoniche all'interno di una determinata banda e lascia passare quelle esterne.

Struttura dei filtri

I filtri possono essere:

  • passivi: usano solo componenti passivi (resistenze, condensatori e induttanze) ed effettuano una semplice selezione e trasmissione del segnale;

  • attivi: oltre ai componenti passivi prevedono la presenza di componenti attivi (come gli A.O.) ed effettuano, oltre a una selezione e trasmissione del segnale, anche una sua amplificazione

I filtri attivi sono preferibili a quelli passivi, dato che introducono un guadagno (il segnale nella banda passante viene amplificato) anche se necessitano di alimentazione e introducono rumore elettrico.

Se definiamo col termine A il rapporto fra la tensione di uscita e la tensione di ingresso al filtro elettronico, si avrà:

In genere sia i filtri attivi che quelli passivi sono studiati usando la nozione di funzione di trasferimento G(S), dato che utilizzano come strumento matematico la Trasformata di Laplace (operazione che porta a notevoli semplificazioni nei calcoli matematici). La trasformata di Laplace è usata per la risoluzione delle equazioni differenziali, in quanto semplifica le operazioni differenziali trasformandole in semplici equazioni algebriche..

Ordine del filtro

Gli ordini del filtro sono:

  • primo ordine: è costituito da un condensatore e da un resistore;

  • ordine superiori: è costituito mettendo in serie vari filtri del primo ordine

Più è elevato l'ordine del filtro e maggiore è l'eliminazione delle armoniche fuori banda.

Zeri e Poli

Se una funzione di trasferimento di un sistema è una funzione razionale, ossia un rapporto di polinomi in s, , abbiamo:

  • gli zeri: sono i valori di s che azzerano la funzione G(s) perché annullano il polinomio al numeratore;

  • i poli: sono i valori di s che azzerano il polinomio al denominatore X(s).

Filtraggio reale

Un filtro ideale è irrealizzabile, quindi bisogna usare tecniche di approssimazione per simulare questo comportamento ideale. L'approssimazione a cui si può arrivare è tanto migliore quanto più elevato è l'ordine della frequenza di taglio in s (grado del polinomio in s) che viene impiegata.

Frequenza di taglio/cutoff: è la frequenza alla quale l'ampiezza del segnale in uscita dal filtro è ridotta a 0,7071 volte del valore massimo. In altre parole è il valore di frequenza in corrispondenza del quale il segnale di uscita si è ridotto di circa il 30% rispetto al suo valore massimo.

Filtraggio

Dal momento che i filtri coprono molti ordini di grandezza di frequenze e ampiezze, è comune descrivere le caratteristiche del filtro usando una scala logaritmica. I decibel permettono di stabilire i rapporti tra due voltaggi:    

Filtri passivi

Ci sono vari tipi di filtri passa-basso, che sono:

  • costituiti da RC (resistore-condensatore, fino a 100 kHz);

  • costituiti da RLC (resistenza-induttanza-condensatore, sopra i 100 kHz)

Filtro RC passa-basso

Un filtro passivo passa-basso RC è costituito dalla serie di una resistenza R e di una capacità C, come in figura. La sua funzione di trasferimento vale:   

La frequenza di taglio ()  è:

In questa rappresentazione della risposta in frequenza, si può notare che:

• per ω=0 si ha Vo /Vi=1 ossia la tensione di uscita è uguale alla tensione di ingresso, e quindi il segnale applicato passa indisturbato;

• per ω → ∞ si ha Vo /Vi → 0 ossia la tensione di uscita tende a zero e il segnale applicato non passa;

• per 0 < ω < ∞ il segnale tende ad essere attenuato (poco alla frequenze basse e molto alle frequenze alte) avendo così il comportamento tipico di un filtro passa basso.

Filtro RC passa-alto

Un filtro passivo passa-alto è esattamente l’opposto del circuito del filtro passa-basso in quanto si ottiene scambiando fra di loro R e C (come in figura) e il segnale di uscita del filtro ora prelevato dall’altro lato della resistenza. La sua funzione di trasferimento vale:

La frequenza di taglio ()  è:       

Filtro LR passa-basso

Allo stesso modo del circuito RC un filtro passivo passa-basso può essere costituito dalla serie di un'induttanza L e di una resistenza R.

La sua funzione di trasferimento vale:    

Con polo negativo:    s = - R/L

La frequenza di taglio è: 

Filtro LR passa-alto

Un filtro passa-alto utilizzante resistenza ed induttanza si ottiene dal filtro passa-basso scambiando le posizioni R e L .

La sua funzione di trasferimento vale:    

La frequenza di taglio è: 

Filtro RC passa-banda

Questo tipo di filtro è una combinazione di un filtro passa-alto e un filtro passa-basso. La banda passante è determinata dalla differenza tra la frequenza di taglio superiore fH e quella inferiore fL.

.

 

La sua G(S) è:

Filtro arresta-banda passivo

Anche un filtro arresta-banda può essere costruito utilizzando solo componenti passivi, combinando i circuiti precedenti secondo lo schema riportato sotto.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Per questo filtro non vediamo la sua funzione di trasferimento

Filtri attivi del primo ordine

Filtri passa-basso

È possibile costruire un filtro attivo del primo ordine passa-basso utilizzando un AO nella sua versione invertente o non invertente.

Filtro attivo passa-basso con AO invertente

La sua G(S) è: 

Filtro passa-basso con AO non invertente

La sua G(S) è: 

Filtri passa-alto

Anche un filtro attivo del primo ordine passa-alto è possibile costruirlo utilizzando un AO nella sua versione invertente o non invertente.

Filtro passa-alto con AO invertente

La sua G(S) è:  -

Filtro passa-alto con AO non invertente

La sua G(S) è: 

Filtro attivo passa-banda

Un filtro attivo del primo ordine passa-banda è possibile costruirlo attraverso una combinazione di filtro attivo passa alto e filtro attivo passa basso. Ad esempio con una configurazione invertente si ha il circuito riportato di sotto.

La sua G(S) è: 

Segnale

Segnale: è una rappresentazione (monodimensionale) di informazione, in funzione di una variabile indipendente.

Ci sono due tipi di segnale:

- segnale analogico: rappresentazione dell’evento fisico descritto da un segnale continuo.

- segnale digitale: è una rappresentazione “discretizzata” di un segnale analogico che viene memorizzato in codice binario.

Conversione A/D (analogico-digitale)

I segnali che vengono raccolti sono di tipo analogico, ma per far sì che un computer riesca a leggerli bisogna che essi siano convertiti in digitale o campionati.

Convertitore A/D o ADC (Analog to Digital Converter) = dispositivo in grado di convertire una grandezza continua in una serie di valori discreti. Fornisce in uscita un segnale codificato su un certo numero di bit (potenza del 2).

La conversione A/D implica due procedimenti:

  • campionamento

  • quantizzazione

In un convertitore A/D si possono individuare 3 blocchi:

  • un campionatore

  • un quantizzatore

  • un codificatore

Campionamento

Campionamento: consiste nel convertire segnali analogici in digitali. Affinché l’operazione di campionamento abbia senso compiuto, bisogna che la sequenza dei campioni consenta la ricostruzione del segnale analogico originario.

Questo si verifica solo se certe condizioni sono rispettate.

La caratteristica fondamentale di un convertitore A/D è la sua frequenza di campionamento.

Frequenza di campionamento: è la frequenza alla quale campionare i valori discreti del segnale analogico.

Teorema del campionamento (condizione di Nyquist): definisce la frequenza minima di campionamento di un segnale (), necessaria per evitare distorsioni dello stesso. Il teorema del campionamento afferma che:       

= frequenza più alta necessaria a rappresentare il segnale analogico.

Campionamento ideale

Il campionamento ideale si formalizza attraverso l'impiego della funzione impulso di Dirac

Campionamento

Il segnale può essere campionato e successivamente ricostruito, senza perdita d’informazione, tramite le operazioni sottoelencate:

  • campionamento

  • filtraggio del segnale campionato

Aliasing: perdita di informazioni se non viene rispettata la regola . In pratica il segnale sembra contenere delle frequenze diverse da quelle reali.

Per eliminare l'aliasing, l'ingresso di un ADC deve essere filtrato (low-pass) per rimuovere le frequenze superiori a quelle di campionamento. Questo filtro è chiamato anti-aliasing ed è essenziale in un sistema con ADC.

Campionamento reale

Nella realtà il circuito di campionamento è costituito da un interruttore che si apre e si chiude. Ogni volta che questo si chiude viene estratto un campione, ma ciò avviene con un tempo non nullo, il tempo di campionamento (TC). Ad ogni modo, anche nella realtà, rispettando il teorema del campionamento si potrà ricostruire il segnale originale attraverso un opportuno filtraggio che compensi le distorsioni introdotta.

Quantizzazione

Quantizzazione: approssimazione di ogni valore reale (dato da ogni campione di un segnale campionato) con il livello più vicino scegliendo tra un numero infinito k di livelli compresi tra minimo e il massimo.

Campionamento in ampiezza: discretizzazione del segnale analogico in ampiezza.

Il numero L di livelli di ampiezza nei quali il segnale viene campionato è sempre una potenza di 2

                                                                    L = 2n

n = numero di bit del convertitore A/D.

Fissato il massimo valore di tensione convertibile (VMAX), il numero di bit fissa anche la minima tensione misurabile (risoluzione del convertitore), pari al valore del bit meno significativo (LSB, Least Significant Bit), anche detto passo di quantizzazione:   

VFONDOSCALA = 2 VMAX

Tensione di fondoscala: è una tensione di riferimento fornita al convertitore che individua il massimo valore in ingresso convertibile in binario.

L’LSB è quindi rappresentativo della risoluzione di ampiezza del convertitore A/D e coincide col quanto Q.

L’errore che si commette associando ad un valore di ampiezza il suo corrispondente digitale ad n bit può essere al massimo pari a  .

Quanto più è piccolo LSB tanto più siamo in grado di risolvere (apprezzare) differenze di ampiezza nel segnale acquisito.                               

Tempo di conversione

Tempo di conversione (TS): tempo necessario all’ADC per trasformare il valore della tensione di ingresso in un codice binario.

Il tempo di conversione di un ADC è importante poiché il suo valore limita la massima frequenza di campionamento che è possibile usare con quel dato convertitore.

La condizione per cui ci sia una buona conversione è:            TS < TC 

Dove TC è il tempo di campionamento ed è quindi uguale all’inverso della frequenza di campionamento:          TC =1/FC

Considerata fMAX la frequenza massima del segnale da convertire, si può dimostrare che la condizione per cui la conversione avvenga senza introdurre un errore maggiore a quello di quantizzazione è:              fMAX ≤ 1/(π * 2n * TS)

Questa limitazione su fMAX dovuta al tempo di conversione non nullo dell'ADC è generalmente molto più stringente di quella dovuta al teorema del campionamento.

Campionamento di più segnali

Con un convertitore si potrebbero dover campionare più segnali simultaneamente (1,2,…n). In questo caso si applica una tecnica di time-sharing.

I segnali analogici in ingresso vengono smistati verso il sistema di acquisizione e campionati. Se gli intervalli di campionamento sono gli stessi, ossia:     Ts1 = Ts2 = Ts3 =….. Tsn = TS

Allora per poter funzionare il convertitore deve valere la seguente relazione:   TS = NTC

N = numero di canali      TS = tempo di campionamento      TC = tempo di conversione

Sample and Hold

Per evitare il grande limite imposto dal tempo di conversione, se il convertitore è troppo lento rispetto alla variazione del segnale da convertire, ossia se non è verificata questa diseguaglianza , si utilizza un circuito, posto a monte del convertitore ADC, con lo scopo di mantenere costante la tensione da convertire per tutta la durata della conversione stessa.

Questo circuito si chiama Sample and Hold (abbreviato S/H) ovvero in italiano campionamento e mantenimento.

In pratica il S/H blocca la tensione da convertire per un tempo sufficiente (ossia il periodo di campionamento) affinché l'ADC abbia il tempo di effettuare una conversione corretta. Naturalmente la frequenza di campionamento del S/H coincide con quella dell’ADC.

Il circuito S/H è costituito da due inseguitori di tensione ed un interruttore elettronico comandato da una tensione digitale di controllo.

tensione analogica da campionare

tensione analogica campionata

Il condensatore serve a mantenere costante la tensione quando l’interruttore viene aperto.

I buffer servono a isolare il condensatore dai circuiti posti a monte e a valle del S/H.

Nella fase sample l’interruttore viene chiuso, il condensatore si carica e il valore della tensione è uguale a .

Nella fase hold l’interruttore viene aperto, il condensatore mantiene una tensione costante che, attraverso il secondo buffer, viene riportata sull’uscita .

Tempo di apertura

Tempo di apertura: tempo che l'interruttore impiega per aprirsi

Il tempo di apertura del S/H limita la massima frequenza di segnale che può essere

convertito. Si può dimostrare che si arriva nuovamente alla disuguaglianza vista prima con Tapertura al posto di TC:              fMAX ≤ 1/(π * 2n * Tapertura)

Proprietà dei segnali

I segnali analogici si possono classificare in base alle caratteristiche della:

• variabile dipendente (ampiezza)

• variabile indipendente (tempo)

• segnale stesso.

In base alla variabile indipendente (tempo) si distinguono segnali a tempo continuo o discreto.

In base alla variabile dipendente (ampiezza) si distinguono segnali a valori reali e quantizzati.

Classificazione in base alle proprietà del segnale stesso:

segnali deterministici: esiste una funzione che descrive e predice il segnale

segnali stocastici: non esiste una funzione che descrive e predice il segnale. Essi si dividono in:

- stazionari: le cui proprietà statistiche (media e varianza) non cambiano nel tempo;

- non-stazionari: vengono studiati su finestre in cui sia verificata la stazionarietà;

segnali periodici: si ripetono uguali a se stessi ogni periodo

segnali aperiodici: non si ripetono nel tempo

Segnali periodici

Definizione: dato un segnale x(t), esso si dice periodico di periodo T se, per ogni istante t risulta:                                            

                                              x(t + T) = x (t)

Per i segnali periodici possiamo definire le seguenti caratteristiche:

ampiezza (A): livello massimo del segnale

fase (φ): misura della posizione relativa del segnale ad un dato istante

periodo (T): intervallo temporale della periodicità

frequenza (f): inverso del periodo

Somma di onde sinusoidali

  • La somma di onde sinusoidali le cui frequenze sono multipli di una di esse è ancora un segnale periodico

  • La frequenza più bassa si chiama fondamentale

  • La frequenza si chiama armonica n-esima

  • La frequenza del segnale risultante è pari alla frequenza fondamentale

Per rappresentare le sinusoidi che compongono un segnale si utilizza il piano delle frequenze.

Sull’asse x vengono riportate le frequenze delle sinusoidi, sull’asse y l’ampiezza delle sinusoidi.

Spettro di ampiezza di un segnale: è un grafico che rappresenta l'ampiezza delle sue armoniche in funzione della frequenza.

Forme d’onda complesse: lo spettro è la somma degli spettri delle sinusoidi che compongono l’onda.

Dominio del tempo: non sono visibili le componenti sinusoidali di piccola ampiezza.

Dominio della frequenza: sono visibili le componenti sinusoidali di piccola ampiezza.

Segnali non periodici

Quanto detto fino ad ora per i segnali periodici può essere esteso ai segnali non periodici. Le funzioni aperiodiche infatti possono essere concepite come funzioni periodiche con periodo che tende a crescere fino all'infinito.

La serie di Fourier si trasforma in un integrale che assume il nome di Trasformata di Fourier e che rappresenta la distribuzione continua delle frequenze presenti in un segnale aperiodico.

La frequenza fondamentale (quindi la distanza tra le armoniche) si riduce a zero.

Segnali biomedici

Biosegnale: grandezza fisica che varia nel tempo (segnale) generato da una struttura biologica (bio). Esso contiene informazioni sul sistema, struttura, organo o processo che lo ha generato.

I segnali biomedici si dividono in:

  • bioelettrici: sono prodotti dall’energia elettrica;

  • bioacustici: sono prodotti dall’energia acustica;

  • biomagnetici: sono prodotti dai campi magnetici che sviluppano alcuni organi.

  • biomeccanici: includono tutti i segnali originati da una qualunque funzione meccanica svolta dal sistema biologico in osservazione;

  • biochimici: sono prodotti dalle misure su tessuti o composti esaminati in laboratorio.

Di un segnale biomedico ci interessa individuare e quantificare:

  • la forma d’onda (analisi nel dominio del tempo) che ci fornisce informazioni sia qualitative che quantitative (periodicità, ampiezza). Per segnali molto irregolari è difficile effettuarne un’analisi accurata.

  • l’analisi delle caratteristiche in frequenza che ci permette di quantificare l’energia delle varie componenti periodiche del segnale in un range di interesse.

I segnali biomedici possono essere:

  • spontanei: sono segnali generati dal sistema biologico durante il suo funzionamento. In questi casi, tranne il segnale elettrico, il sensore rivelatore è preposto a trasformare grandezze non elettriche in segnali elettrici.

  • indotti: generati artificialmente come risposta dell’interazione tra una forma di energia esterna inviata al tessuto e il tessuto stesso (es. TAC ecc.)

Rumore: componente di disturbo che si trova sempre quando si misura un segnale biomedico.

Segnale caotico: segnale che assomiglia al rumore ma non lo è.

Principali fonti di rumori

Artefatti fisiologici: segnali che il nostro corpo inevitabilmente genera e che possono accoppiarsi al segnale che invece vogliamo misurare.

Artefatti non fisiologici: includono tutti quei disturbi che provengono dall’esterno e possono essere generati:

- da problemi che si hanno durante la misura;

- possono provenire dalla stessa strumentazione elettronica;

- interferenze elettromagnetiche provenienti da altri dispositivi che suono nel luogo in cui si effettua la misura o il rumore di linea (50 Hz).

Fasi di analisi dei segnali biomedici

  1. acquisizione (fatta da: sensore + amplificatore + filtro)

  2. elaborazione (fatta dal convertitore)

  3. interpretazione (fatta da un uomo o un computer)

Strumentazione biomedica

Si divide in:

  • analogica = mostra i risultati con un elemento meccanico (es. lancetta)

  • digitale = mostra i risultati su un display

Elettroencefalografia (EEG)

L'elettroencefalogramma è la registrazione delle differenze di potenziale prodotte da sorgenti correlate all’attività delle cellule cerebrali nella massa cranioencefalica e raccolte da elettrodi posti sul cuoio capelluto.

Le variazioni di potenziale sono estremamente piccole e pertanto si rende necessario l’impiego di amplificatori di alto guadagno e particolarmente robusti al rumore

Per acquisire il segnale EEG vengono usati degli appositi sensori, detti elettrodi.

Generalmente si usano tre tipi di elettrodi:

1) Elettrodi posizionati sullo scalpo, in tal caso si parla di elettroencefalografia di superficie o standard (EEG);

2) Elettrodi posizionati direttamente sulla superficie della corteccia cerebrale, in tal caso si parla di elettrocorticografia (ECoG);

3) Elettrodi ad ago che vengono posizionati in profondità del tessuto cerebrale, in tal caso si parla di stereoelettroencefalografia (SEEG).

L’elettroencefalografia è una tecnica non invasiva, ed è quella che viene più usata per le registrazioni cliniche di routine.

Al contrario sia l’elettrocorticografia che la stereoencefalografia sono delle tecniche invasive e vengono usate per studiare casi complessi.

Gli elettrodi di superficie per EEG possono essere fissati alla cute con l’ausilio di collarini adesivi, cerotti o di una cuffia apposita precablata.

Gli elettrodi sono posizionati secondo le indicazioni contenute nello Standard Internazionale 10/20.

Questo sistema descrive l’esatta posizione di ogni elettrodo, consentendo una buona copertura di tutta la superficie encefalica e garantendo che gli elettrodi siano sempre posizionati sopra le stesse aree.

Vengono misurate delle linee, utilizzando come punto di partenza precise localizzazioni anatomiche: nasion, inion, punto preauricolare.

Queste linee disegnano una rete sulla superficie dello scalpo, ai cui punti di intersezione sono posizionati gli elettrodi. La distanza tra un elettrodo e l’altro è sempre il 10% o il 20% della lunghezza totale della linea variabile rispetto al soggetto.

Ogni posizione di un elettrodo viene denominata usando una lettera e un numero . La lettera prende il nome dal lobo cerebrale sottostante mentre i  numeri dispari indicano il lato sinistro, i pari il destro. La “z” la linea mediana.

Prima di applicare gli elettrodi, è necessario pulire e sgrassare accuratamente l’area d’interesse.

Una volta pulita la regione di interesse, si procede con l’applicazione degli elettrodi, il cui interno viene riempito con un gel elettroconduttore mediante una siringa. Questo ha il duplice scopo di creare un contatto ottimale elettrodo-cute andando a ridurre le resistenze di contatto tra elettrodo e cute, favorendo in tal modo la conduzione del segnale, e di compensare gli effetti dovuti ad eventuali movimenti, mantenendo un’adesione costante tra elettrodo e pelle.

Una volta preparati gli elettrodi per ricavare il segnale elettroencefalografico, i segnali provenienti dagli elettrodi vengono inviati ad un amplificatore differenziale, ed il collegamento tra coppie di elettrodi e gli ingressi di tali amplificatori costituisce il montaggio.

Per quanto riguarda l’apposizione degli elettrodi, si ricorre a due derivazioni standard, a seconda degli specifici requisiti sperimentali

Derivazione monopolare (o unipolare)

 

Poichè una tensione elettrica è sempre in relazione ad un punto di riferimento, un elettrodo viene posto in un sito attivo, mentre l’altro (elettrodo di riferimento) in un sito elettricamente neutro (ossia con V=0)

 

 

 

Derivazione bipolare

 

Entrambi gli elettrodi sono posti su siti attivi dell’area di interesse e il segnale rilevato corrisponde alla differenza che emerge tra le attività dei due siti.

Il corpo umano è perturbato da campi elettrici interni ed esterni che non variano a livello locale.

Ciò significa due tensioni elettriche misurate rispetto un punto comune sono composte da Tensione di Modo Comune (uguale in ciascun punto) e Tensione Differenziale

Amplificazione del segnale EEG

Una volta acquisito il segnale analogico esso viene amplificato, in modo da poter essere digitalizzato in maniera accurata. Per garantire ciò, l'amplificatore differenziale deve soddisfare i seguenti requisiti:

– I processi fisiologici da monitorare non devono essere influenzati in alcuna maniera dall'amplificatore

– Il segnale misurato non deve venire distorto

– L’amplificatore deve garantire la migliore separazione tra segnale e rumore

– L'amplificatore deve fornire protezione al soggetto da qualunque rischio di elettroshock

– L’amplificatore stesso deve essere protetto da possibili danni provenienti da fonti ad alte tensioni

L’EEG convenzionale non ha una buona risoluzione spaziale perché rileva anche l’attività dell’area adiacente a quella sottostante.

Poiché il segnale registrato è dato dalla somma dei campi elettrici rilevati, ciò non consente di risalire all’esatta origine del potenziale corticale ma utilizzando innovative tecniche elettroencefalografiche, si riesce ad avere una migliore localizzazione spaziale. L'attività elettrica osservabile dall’esterno mediante elettrodi di superficie posti sullo scalpo in modo standard è data dalla sovrapposizione di:

  • Attività spontanea

  • Attività legata alla ricezione di stimoli esterni sensoriali

  • Attività legata all’elaborazione di informazioni o a task specifici

Il cervello è sempre in attività sia durante la veglia che durante il sonno.

Il segnale EEG

L’aspetto dell’attività EEG è dato da onde continue, ritmiche o aritmiche oscillanti, che variano per aspetto, frequenza e ampiezza.

– L’ampiezza indica la forza del segnale elettrico e si esprime in mV

– La frequenza ne indica la velocità e si esprime in Hertz (cicli al secondo).

L’analisi spettrale del segnale EEG rivela che l’attività ritmica del cervello è caratterizzata da frequenze tipiche. I valori assunti dalle frequenze d’onda variano tra 0,5 e 100 Hz, incrementando progressivamente all’aumentare dell’attività corticale, ma in generale la maggior parte del contenuto informativo è entro i 40 Hz.

Ritmi cerebrali

La potenza di ciascun ritmo è funzione dello stato psicologico del soggetto.

Le onde δ hanno frequenze comprese tra 0.5 e 4 Hz e si misurano nei bambini in stato di veglia o negli adulti durante le fasi del sonno. Sono sintomo di sofferenza cerebrale se occorrono nella veglia negli adulti.

Le onde θ hanno frequenza compresa tra i 4 e gli 8 Hz. Nei soggetti adulti in fase di veglia questa attività è generalmente assente, ma appare durante il sonno o l’iperventilazione, mentre si trova abitualmente nei bambini.

Le onde α si osservano quando il soggetto è sveglio a occhi chiusi e in stato di riposo muscolare, sensoriale e intellettuale, si tratta di onde regolari di 8 ÷ 13 Hz.

Le onde β hanno una frequenza compresa tra i 13 e i 30 Hz e sono associate a livelli di coscienza (attenzione e concentrazione), esse si possono dividere in:

  • onde β1 (13-20 Hz)

  • onde β2 (20-30 Hz)

Le onde γ hanno una frequenza compresa tra i 30 e i 42 Hz, caratterizzano gli stati di particolare tensione e profonda concentrazione.

Artefatti nell’EEG

Principali fonti di artefatti fisiologici nell’EEG sono:

  • Artefatti Oculari: ben visibili sul tracciato EEG e dovuti al movimento degli occhi.

  • Artefatti Muscolari: generalmente facili da identificare sulla base della loro morfologia e durata (sono più veloci).

  • Artefatto cardiaco: dovuto al fatto che le variazioni del potenziale cardiaco possono propagarsi fino al cranio. È facilmente individuabile perché presenta un andamento ritmico tipico dei potenziali cardiaci.

  • Artefatti da movimento: sono causati dalle vibrazioni o dai movimenti del paziente.

  • Artefatto da pelle: l’impedenza degli elettrodi viene modificata da processi fisiologici comuni (come il sudore).

Principali fonti di artefatti non fisiologici nell’EEG sono:

  • Artefatto da rete: si manifestano tipicamente come rumore additivo alla frequenza proprio della tensione di rete di 50 Hz.  È possibile eliminarlo mediante l’applicazione di un filtro elimina banda (notch) in corrispondenza di quella frequenza.

  • Movimento dei cavi elettrici: dovuto a cavi penzolanti o in tensione

  • Alta impedenza elettrodo–cute: si ha quando non c’è un buon collegamento tra l’elettrodo e la cute.

Correlati neurofisiologici

Diversi tipi di eventi o patologie inducono dei cambiamenti nell’EEG. A seconda delle caratteristiche di questi cambiamenti, si distinguono i seguenti tipi di risposte:

Desincronizzazione/Sincronizzazione evento-correlata (ERD/ERS) = consiste nella temporanea modulazione dell’attività oscillatoria dell’EEG di fondo e riflette la

desincronizzazione/sincronizzazione dell’attività di una popolazione di neuroni. Il significato funzionale dipende dalla banda che si considera.

I valori dell’ERD/ERS vengono espressi come variazione percentuale della potenza rispetto ad un intervallo di riferimento, detto anche baseline (valori positivi indicano sincronizzazione, mentre valori negativi desincronizzazione).

Potenziali Evento Correlati (ERP) = sono una variazione specifica del segnale bioelettrico conseguente alla stimolazione di una via sensoriale o ad un evento motorio. Sono costituiti da oscillazioni del potenziale elettrico e hanno una forma d’onda caratterizzata da una serie di deflessioni positive o negative, definite componenti.

Ciascuna di queste componenti viene considerata come il risultato della generazione di potenziali post sinaptici sincroni di un gruppo di neuroni corticali, in grado di generare campi sufficientemente ampi da essere registrati in superficie. La localizzazione delle componenti permette quindi di identificare quale area corticale è attiva in seguito ad un particolare stimolo.

I parametri analizzati nello studio dei potenziali evento-correlati sono i seguenti:

  • latenza: distanza temporale tra il momento di applicazione dello stimolo ed il momento di comparsa della componente

  • topografia: posizione sulla superficie cranica in cui è registrabile la massima ampiezza della componente

  • ampiezza: entità della deflessione della componente rispetto al livello basale

Mentre le variazioni spontanee sono visibili direttamente nel tracciato EEG, le variazioni evocate hanno un'ampiezza molto bassa e sono mascherate dall'attività di fondo.

Per questo motivo, si provvede a registrare i potenziali mentre vengono presentati stimoli ripetitivi.

In seguito, i tracciati vengono suddivisi in "epoche“ sincronizzate con gli eventi stimolanti.

I campioni del segnale vengono quindi mediati (averaging): tale tecnica costituisce l'essenza di base delle metodiche di elaborazione dei potenziali evocati.

Componenti ERP

Le diverse componenti dell’ERP, intesi come picchi positivi o negativi, sono riconducibili ai vari stadi di processamento dell'informazione sensoriale o evento-correlata nel cervello.

Componenti precoci: compaiono prima di P1 e riflettono le caratteristiche fisiche dello stimolo. Esse sono dette esogene.

Componenti tardive: compaiono dopo P1 e sono definite endogene, non sono necessariamente obbligatorie, riflettono soprattutto l’elaborazione e i processi cognitivi del soggetto. Dipendono meno (o per nulla) dalle caratteristiche fisiche dello stimolo.

Componente P1: questa componente viene interpretata come un indicatore neurofisiologico dell’attenzione allo stimolo sensoriale.

Componente N1: compare dopo la comparsa dello stimolo nella corteccia visiva extrastriata. Se si tratta di uno stimolo atteso si ha un aumento di questa componente rispetto alla comparsa di uno stimolo inatteso.

Componente P2: è legata a diversi task cognitivi, inclusi quelli di attenzione selettiva e memoria a breve termine. È presente anche in stimoli uditivi insieme alla N1, ma meno localizzata e risulta sensibile ai parametri fisici dello stimolo.

Componente N2: è caratterizzata da una forte variabilità tra soggetti e ha varie interpretazioni psicologiche, tra cui la discriminazione dello stimolo.

Componente P300: è un potenziale positivo che per definizione compare solamente in seguito a stimoli “target”. Non riflette una specifica funzione cognitiva, ma è espressione globale dei molteplici processi cerebrali implicati nel mantenimento della memoria di lavoro. Essa è una componente endogena.

Elettromiografia (EMG)

Elettromiografia (EMG): è un esame che ha lo scopo di verificare lo stato di salute dei

muscoli e nervi attraverso potenziali elettrici generati da essi

Controllo motorio

Possiamo schematizzare il controllo motorio in tre passi:

  1. Corteccia pre-motoria = pianificazione del movimento

  2. L’uscita della corteccia pre-motoria è l’eccitazione o l’inibizione dei neuroni della corteccia motoria primaria

  3. Questo ultimo va ad agire per l’attivazione del motoneurone

  4. Il motoneurone propaga l’impulso elettrico

Generazione del segnale EMG

Il segnale EMG è una rappresentazione dei potenziali elettrici generati dalla depolarizzazione/ripolarizzazione della membrana esterna delle fibre muscolari.

Il segnale EMG registrato rappresenta la somma dei contributi dell’attività asincrona delle unità motorie reclutate in un certo istante di tempo.

L’EMG si compone di tre fasi:

  • elettroneurografia (ENG)

  • elettromiografia (EMG)

  • EMG di singola fibra (test neurofisiologico estremamente specifico che studia i potenziali d'azione di singole fibre muscolari)

Elettroneurografia (ENG)

Elettroneurografia (ENG): è quella parte di EMG che valuta la velocità di conduzione dei nervi e l’ampiezza del segnale condotto. Fornisce informazioni sia sulla componente motoria che sensitiva del nervo.

Vengono erogati lievi impulsi elettrici per mezzo di stimolatori ed i potenziali vengono registrati superficialmente dai vari nervi tramite elettrodi di varia forma. Si può così misurare la velocità e l’intensità della corrente elettrica che corre lungo le fibre nervose periferiche.

Ci sono due tipi di velocità:

  1. velocità di conduzione sensitiva (SNCV): permette di indagare i disturbi della sensibilità periferica.

  2. velocità di conduzione motoria (MNCV): permette di esaminare le difficoltà di movimento del muscolo causate da un danno periferico.

Elettromiografia (EMG)

Elettromiografia (EMG): rappresenta la registrazione dell’attività elettrica muscolare.

Si possono utilizzare elettrodi di superficie o apporre un piccolo elettrodo ad ago nel ventre muscolare per studiare l’attività del muscolo.

Per l’EMG si usano i seguenti strumenti:

  • Sensori = per il prelievo del segnale (di profondità e di superficie) la cui modalità di prelievo sarà:

  • Monopolare

  • Bipolare

  • Elettromiografo

  • Convertitore analogico-digitale

Acquisizione segnale EMG

I sensori si dividono in:

  • Monopolari: quando il segnale viene rilevato tra un elettrodo localizzato sopra il muscolo ed uno fuori dalla zona elettricamente attiva (neutra). Il difetto principale di questa configurazione è la bassa risoluzione spaziale, infatti vengono amplificati anche segnali non voluti.

  • Bipolari: quando viene utilizzato un amplificatore differenziale per rilevare segnali prelevati tra due punti sullo stesso muscolo, solitamente allineati in direzione. Con questa configurazione si ha una migliore risoluzione spaziale delle fibre.

Elettromiografia superficiale

Sia il corpo umano che gli elettrodi degli apparecchi per EMG e similari canalizzano interferenze ed originano disturbi che vanno isolati dal segnale rilevato.

Quindi, oltre ai due elettrodi se ne usa un terzo di riferimento per riferire l’amplificatore a un potenziale prelevato dal paziente.

Si possono avere due tipi di elettrodi:

  • passivi: necessitano di un circuito di amplificazione esterna

  • attivi: hanno già integrato il circuito di pre-amplificazione e possono ridurre il rumore in ingresso.

Gli elettrodi di superficie registrano potenziali d’azione di un gruppo di unità motorie.

Elettromiografia ad ago/di singola fibra

Nel caso di utilizzo di elettrodi ad ago i singoli potenziali che si registrano rispecchiano l’attività di una singola unità motoria.

Gli elettrodi ad ago sono costituiti da fili sottili, resistenti e flessibili

Fattori che influenzano il segnale EMG

È praticamente impossibile utilizzare un segnale EMG non processato per fare direttamente una comparazione quantitativa tra soggetti. Questo perché il segnale EMG è influenzato da diversi fattori che «sporcano» il segnale stesso.

Ci sono 4 fattori principali:

1) tipo di tessuto: il corpo umano è un buon conduttore elettrico, ma la conducibilità varia con il tipo di tessuto, spessore, condizioni fisiologiche e temperatura;

2) cross talk fisiologico, dipende da:

  • vicinanza dei muscoli, quando se ne vuole rilevare l’attività di uno solo. Contributo difficile da eliminare per via algoritmica.

  • interferenza da parte del cuore, poiché il segnale elettrocardiografico si può sovrapporre a quello dell’EMG. Facilmente eliminabili per via algoritmica.

3) variazioni geometriche: durante la contrazione muscolare la posizione reciproca tra elettrodi e ventre muscolare può cambiare. Questo è un problema intrinseco nelle misure dinamiche e può essere causato anche da una variazione di pressione sull’elettrodo;

4) rumore esterno:

  • accoppiamento con sorgenti elettromagnetiche esterne

  • qualità degli elettrodi, impedenza pelle, dell’amplificatore utilizzato

  • generalmente la pelle viene preparata per decrementare il più possibile l’impedenza

Analisi nel tempo

L’interferenza del segnale EMG è di natura casuale e non riproducibile.

Per risolvere questo problema si cerca di eliminare la parte non riproducibile del segnale tramite algoritmi di smoothing che vadano ad evidenziare l’andamento del trend medio del segnale. Si va a visualizzare l’inviluppo del segnale che fornisce indicazioni sull’effettiva attività muscolare. L'inviluppo viene solitamente filtrato con un filtro passa basso per eliminare il segnale interferenziale.

L’analisi del segnale nel dominio del tempo permette di visualizzare il segnale elettromiografico acquisito, fornendo indicazioni importanti su:

  • durata dell’acquisizione

  • valore a riposo

  • valore massimo dello sforzo.

Analisi di frequenza

Analizzare le armoniche che compongono il segnale è di fondamentale importanza in quanto permette di rilevare la fatica muscolare. Infatti, al crescere della fatica le componenti alle alte frequenze diminuiscono la propria ampiezza e quelle alle basse frequenze aumentano il loro contributo.

Normalizzazione del segnale EMG

Uno dei principali fattori che limita l’analisi del Segnale EMG è lo scarso contenuto in termini di informazione assoluta.

Questo problema si può risolvere normalizzando l’ampiezza del segnale EMG, e il metodo più comune è normalizzare rispetto al valore in corrispondenza della massima contrazione volontaria (MVC).

Massima contrazione volontaria (MVC): consiste nell’acquisire quanto un soggetto può contrarre un muscolo, assegnando il 100% alla massima contrazione e lo 0% alla contrazione nulla.

Elettrocardiografia (ECG)

Elettrocardiografia (ECG): esame per lo studio della salute del cuore.

L’onda elettrocardiografica consiste di tre diverse deflessioni riconoscibili:

  • Onda P: diffusione attivazione elettrica nel miocardio atriale

  • Complesso QRS: diffusione attivazione elettrica nel miocardio ventricolare

  • Onda T: recupero elettrico del miocardio ventricolare

L’onda elettrocardiografica si compone inoltre di:

  • Intervallo PR dall’inizio onda P all’inizio QRS

  • Segmento ST

  • Intervallo QT dall’inizio QRS alla fine onda T

Per un ECG si posizionano gli elettrodi mediante il triangolo di Einthoven. Si utilizzano tre elettrodi, due di misura e uno di riferimento (per convenzione è collegato alla gamba e può essere messo a terra o pilotato attivamente).

 

Pacemaker

Cellule pacemaker: sono quelle cellule che vanno a normalizzare il ritmo del cuore

Qualora le cellule pacemaker non dovessero funzionare si deve impiantare un pacemaker artificiale, che può essere:

  • interno (impiantabile)

  • esterno (temporaneo)

Pacemaker esterni

Pacemaker esterni: sono progettati per riattivare il normale ritmo del cuore nel caso di arresto cardiaco, quando si considera sufficiente la stimolazione per un breve periodo di tempo.

I pacemaker esterni temporanei sono composti da:

  • Generatore: serve a produrre l’impulso elettrico quando necessario;

  • Connettore: parte del generatore dove sono attaccati gli elettrodi;

  • Elettrodi (elettrocateteri): fili ricoperti da una plastica morbida e flessibile, essi consentono al generatore di «sentire» il cuore e sono il tramite degli impulsi che partono dal generatore ed arrivano al cuore.

Pacemaker interni

Le principali patologie che possono o devono essere trattate con l’elettrostimolazione

permanente sono:

  • La malattia del nodo del seno che è causata dal patologico comportamento elettrofisiologico di tali cellule che dà origine a diversi disturbi del ritmo cardiaco. È, in poche parole, un’anomalia del pacemaker naturale del cuore che causa un rallentamento della frequenza cardiaca.

  • I blocchi atrio-ventricolari che rappresentano un disturbo della conduzione dell’impulso, transitorio o permanente, dovuto a una compromissione anatomica o funzionale del tessuto miocardico specifico.

  • Le tachicardie sopraventricolari che comprendono una serie di aritmie quali il flutter atriale e la fibrillazione atriale.

Il pacemaker interno è costituito da un involucro di titanio, contenente la batteria (a lunga durata) e il dispositivo elettronico collegato al cuore mediante una o più sonde (elettrocateteri).

Il dispositivo elettronico controlla gli impulsi elettrici generati dal cuore stesso. In assenza di un battito cardiaco fa emettere alla batteria un breve impulso elettrico che, tramite la sonda, viene trasmesso al muscolo cardiaco, provocando un battito.

Il pacemaker interno interviene quindi soltanto se il ritmo naturale del cuore scende al di sotto di una determinata frequenza o quando l’attività elettrica tra atri e ventricoli è interrotta.

I pacemaker interni vengono regolati dall’esterno con uno speciale apparecchio programmatore, che viene applicato sulla pelle sopra il pacemaker stesso.

Questo apparecchio comunica col dispositivo elettronico del pacemaker mediante onde elettromagnetiche. È così possibile adeguare i parametri importanti in base alle necessità del paziente.

Esistono tre tipologie di pacemaker interni:

  • monocamerale (ha un solo elettrodo posizionato nell'atrio o nel ventricolo dx)

  • bicamerale (composto da due elettrodi uno nell'atrio dx e uno nel ventricolo dx)

  • tricamerale (ha da tre elettrodi uno nell'atrio dx, uno nel ventricolo dx e uno nel ventricolo sx)

  • a frequenza adattiva

Pacemaker monocamerale

Pacemaker monocamerale: viene spesso scelto per pazienti in cui il nodo SA invia segnali troppo lentamente ma il cui percorso elettrico ai ventricoli è in buone condizioni. In questo caso viene posizionato nell’atrio destro; oppure se il nodo SA funziona ma il sistema di conduzione è parzialmente o completamente bloccato. In questo caso viene posizionato nel ventricolo destro.

Pacemaker bicamerale

Pacemaker bicamerale: esso ha due elettrodi, un nell’atrio dx e uno nel ventricolo dx, in modo tale da poter sincronizzare l’attività tra atri e ventricoli. Questo tipo di pacemaker è in grado di "sentire" e/o stimolare entrambe le camere cardiache anche separatamente.

Pacemaker tricamerale

Pacemaker tricamerale: ha tre elettrodi e il terzo viene collocato nel seno coronarico venoso, permettendo così ai ventricoli dx e sx di contrarsi contemporaneamente, migliorando l’efficienza della pompa cardiaca.

Pacemaker a frequenza adattiva

Pacemaker a frequenza adattiva: è un pacemaker in grado di adeguare la frequenza di stimolazione alle esigenze metaboliche dell'organismo.

In questi casi i sistemi utilizzano sensori che registrano parametri fisici per quantificare le necessità metaboliche dell'organismo.

Circuito di un pacemaker

Il pacemaker può essere rappresentato come un generatore di tensione, l’elettrodo come una resistenza, mentre il contatto elettrodo tessuto è equivalente, dal punto di vista elettrico, ad un parallelo tra una resistenza ed una capacità. Il cuore stesso ha la sua resistenza elettrica.

Da un punto di vista tecnologico i problemi che si incontrano sono:

  • la durata della batteria

  • la biocompatibilità dei materiali

  • la resistenza nel tempo dell’elettrocatetere

Defibrillatore

Fibrillazione ventricolare: è uno stato patologico di emergenza che deriva dalla contrazione asincrona del muscolo cardiaco. A causa di questa irregolare contrazione delle fibre muscolari, il ventricolo trema, appunto “fibrilla”, invece di pompare sangue efficientemente.

Defibrillatore: dispositivo in grado di convertire la fibrillazione ventricolare in un ritmo funzionale, esso applica uno shock elettrico ad alta energia sul cuore, al fine di riattivarne il normale ritmo cardiaco.

Si possono distinguere quattro tipi di defibrillatori:

  • defibrillatori manuali: è il medico a decidere, valutando il tracciato E.C.G. del paziente, l'opportunità o meno dell'erogazione dello shock e l'energia che esso deve possedere.

  • defibrillatori semiautomatici: possono essere usati da personale, anche non medico, ma con esperienza e che abbia frequentato dei corsi di pronto soccorso.

  • defibrillatori automatici: spesso sprovvisti di display, erogano la scarica automaticamente, senza l'intervento dell'operatore, qualora ne rilevino la necessità;

  • defibrillatori impiantabili: controllano in modo continuo il cuore in attesa di eventuali aritmie. Sono costituiti essenzialmente da un generatore di impulsi e da uno o più elettrocateteri inseriti nel cuore e sono inseriti generalmente nel petto

Gli elementi fondamentali di un defibrillatore sono:

  • Condensatore: costituisce l'unità principale del circuito, poiché permette di immagazzinare l'energia da scaricare all'atto della defibrillazione.

  • Generatore: deve essere mantenuto sempre in perfetta efficienza, assicurando in ogni evenienza la disponibilità della sua energia. Per questo, l'alimentazione dell'apparecchio può avvenire secondo due modalità: tramite collegamento alla rete elettrica esterna, o grazie alla carica della batteria interna.

  • Elettrodi: sono il mezzo tramite il quale viene erogata l'energia selezionata al paziente. Si distinguono in:

  • piastre per defibrillazione esterna,

  • elettrodi mono-paziente con gel conduttivo incorporato,

  • elettrodi per defibrillazione interna.

Piastre: sono costituite da due piattelli di acciaio inox montati su manici isolanti in plastica, i quali impediscono alla corrente di defibrillazione di fluire pericolosamente anche attraverso il corpo dell'operatore. Importante, al fine di evitare di provocare gravi ustioni cutanee al soggetto defibrillato, è fondamentale applicare tra la pelle e l'elettrodo un'adeguata quantità di gel ad alta conduttività.

Elettrodi mono-paziente: sono preferibili alle piastre in metallo poiché su di essi è già spalmato il gel conduttivo; ciò riduce il tempo necessario per prestare soccorso al soggetto in emergenza. L'uso di elettrodi adesivi migliora, inoltre, la sicurezza dell'operatore riducendo le possibilità di shock accidentali, non essendoci contatto diretto tra le sue mani e una superficie metallica, come, invece, nel caso delle placche.

Elettrodi per defibrillazione interna: vengono utilizzati a torace aperto in ambito chirurgico e, per questo, devono poter essere sterilizzati in autoclave, insieme ai cavi ed alle impugnature.

Per assicurare, durante l'utilizzo del dispositivo, un adeguato grado di sicurezza all'operatore ed al paziente, il defibrillatore è dotato di due tipi di isolamento:

  • isolamento di ingresso: previene flussi accidentali di corrente tra due dispositivi (o tra un dispositivo e la terra) attraverso il corpo del paziente. Ciò serve ad evitare che, in presenza di un guasto su un altro dispositivo a cui il paziente può risultare collegato, oppure di un guasto di terra, la corrente possa seguire il percorso: dispositivo difettoso-paziente-defibrillatore

  • isolamento d'uscita: migliora la sicurezza dell'operatore proteggendolo dalle correnti di dispersione, e riduce le probabilità che una parte della corrente di defibrillazione segua un cammino indesiderato. In questo caso infatti sul cuore del paziente arriverebbe una quantità di energia insufficiente ad arrestare la fibrillazione ventricolare e l'intervento sarebbe inefficace.

 

 

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